Eppure, uscendo dal Tribunale alla fine della tormentata odissea dell'inchiesta sul concorso vigili truccato, la sensazione che la giustizia non abbia chiarito i punti oscuri del pasticcio alla lariana brucia come la cicatrice di Harry Potter di fronte a Voldemort. Diventasse un'opera teatrale, la vicenda del controverso concorso per assumere un agente di polizia locale a Como sarebbe ricca di personaggi in cerca d'autore. Per i quali, però, è destinato il ruolo che è dei protagonisti, dei direttori e anche degli scenografi. La sentenza di ieri racconta due cose. La prima: le tracce dei temi sono trapelate la sera prima della seconda prova scritta e sono state comunicate a una serie di concorrenti. La seconda: la commissione d'esame, che fino al processo sembrava fosse stata costretta a un aggiustamento in corsa delle correzioni a causa di un errore in buona fede, aggiustamento delegato al solo Graziani, in realtà ha agito nell'assoluta correttezza.
Questa la morale finale. Ma l'opera che ha tenuto banco per mesi nell'aula del Tribunale manca di alcuni tasselli, persi - più o meno inspiegabilmente - per strada. E così, alla fine, si ha la sensazione che la verità giudiziaria emersa sia stata dettata dal ruolo assunto, di volta in volta, dagli attori comparsi sulla scena. Anche i più improbabili.
I silenziosi. Gli ex assessori Paolo Gatto e Francesco Scopelliti che, "forti" del loro status di indagati di reato connesso, hanno scelto il silenzio e hanno rinunciato ad accendere quella luce sula vicenda che avrebbe potuto rivelarsi decisiva.
I reticenti, rappresentati dai troppi vigili tuttora in servizio bacchettati dal presidente del Tribunale nel corso della loro audizione per i molti «non ricordo» e i ripetuti «non saprei». Disarmante esempio di ciò che un pubblico ufficiale non dovrebbe essere.
Gli smemorati, come la candidata Agrippina Simili, la prima a ricevere la confidenza sul contenuto delle tracce della prova d'esame dall'assessore Gatto e a raccontarlo - nei giorni successivi - alla polizia giudiziaria. Salvo poi cambiare versione, un anno e mezzo dopo, quindi dimenticarsene e ricordarsene solo di fronte alle sollecitazioni del pm e del tribunale.
I furbetti. Gli aspiranti agenti che si sono precipitati a chiedere le tracce salvo poi essere tutti quanti clamorosamente bocciati.
Non sono mancati, per fortuna, gli onesti. Due esempi: gli agenti della polizia locale Pasquale Caputo e Danilo Proserpio, che di fronte alle rivelazioni di possibili irregolarità non hanno esitato a mettere nero su bianco un'informativa alla magistratura. Sapendo che si sarebbero inimicati molti colleghi, visto che il concorso era tutto pieno di «parenti di...» e «amici di...».
Sullo sfondo, infine, Penelope, ovvero la Procura di Como che - sotto la guida dell'ex procuratore capo - ha cucito e scucito e tagliato e smembrato e riaccorpato e archiviato e battagliato con i giudici e infine riassemblato in qualche modo la tela di una tormentata inchiesta giudiziaria.
Ovviamente, come tutte le sentenze lette nel nome del popolo italiano, non resta che commentare: giustizia è fatta. Ma la cicatrice del dubbio brucia. Sarà solo colpa di Voldemort?
di Paolo Moretti
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