Il Comune vi vede una fonte di gloria e di profitto: un'Università rappresenta infatti un mercato, un centro di attrazione per gli stranieri e di conseguenza un fattore di sviluppo dei contatti in un'epoca in cui le cellule urbane costitutive della vita economica e politica si alimentano delle relazioni crescenti con un mondo i cui orizzonti si allargano e si moltiplicano gli scambi».
Sembrerebbe il programma preciso per quel che resta delle speranze dell'università a Como nel mondo globalizzato.
Invece è quello che uno dei massimi studiosi del Medioevo, Jacques Le Goff, scrive dell'università e della città di Padova nel Tredicesimo Secolo.
Il brano che abbiamo citato è la premessa alle considerazioni di Le Goff sulla scelta dei padovani di garantire ai docenti un adeguato compenso per fare grande l'università e, dunque, cercare gloria, e, più prosaicamente, profitti per la città.
Fu quello che poi avvenne: una scelta vincente.
Se vogliamo essere realisti non sembra che la Como di questo secolo abbia sposato quel programma, già valido più di sette secoli fa.
Nelle quote di Università dell'Insubria e di Politecnico spettanti a Como è stato svolto un eccellente lavoro e massimo rispetto merita chi in questi anni vi ha insegnato.
Ma non è stata presa una via decisa né nel senso di attirare le migliori risorse umane dall'esterno, con investimenti in compensi e strutture, né di raccogliere sistematicamente intorno all'università le migliori intelligenze locali, alimentando l'orgoglio dell'appartenenza a una comunità.
Non vi è nulla per cui le facoltà universitarie che hanno sede a Como siano "memorabili", cioè impresse nella memoria.
Non al di fuori della città, come dovrebbe accadere, non nel contesto della città (e la colpa non può essere sempre rovesciata sui cittadini comaschi distratti).
Ora sembra essere rinato l'impegno nel dare strutture alle facoltà universitarie comasche, soprattutto grazie al Tavolo per la Competitività e lo Sviluppo: ma non si può dimenticare che un'università esiste in quanto sia non solo hardware ma anche software: promozione dell'appartenenza, attrattività, idee innovative, orgoglio. Insomma un'anima.
Che dovrebbe essere percepita in ogni istante da studenti, docenti, cittadini, visitatori, messi in grado di vivere e muoversi tra Sant'Abbondio e un Campus a San Martino, tra il Conservatorio e un nuovo Auditorium, tra Villa Olmo e il Chilometro della conoscenza.
A chi dice che non si trovano i soldi bisognerà chiedere di cercare prima l'anima. Doppio lavoro.
Giuseppe Battarino
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