L'importante è resistere e gli artigiani, insieme ai piccoli imprenditori che tengono per davvero su l'Italia, lo sanno. Attenzione però, cominciano ad essere anche un po' stufi di resistere, perché hanno come il sospetto che, dietro la prova di forza cui sono chiamati da una gestione politico-economica che li soffoca, non ci sia nulla di buono. «Cosa ha fatto finora lo Stato per noi?». Si sono chiesti nell'incontro di mercoledì sera gli artigiani convocati dalla Cna ad ascoltare informazioni sul redditometro. «Solo nuove tasse». In effetti il carico fiscale supera il 60%, e chi dice che il lagnarsi è tipico degli artigiani, davanti a questa percentuale è costretto almeno a non dir nulla.
Veri i mega guadagni degli anni d'oro passati da poco, con tanto nero (che del resto - come dice Maria Casati della Cna - chi vuol fare nero in modo massiccio trova il modo) e vere le entrate cash nei cassetti in bottega, ma vere anche le tante aziende con i cartelli "vendesi", i capannoni abbandonati che fa male vedere in una Brianza che a tratti sembra la valle della morte.
Gli artigiani e i piccoli imprenditori non vanno difesi a oltranza, ma sostenuti sì. Che piaccia o no essi lavorano e continuano a farlo perché hanno la testa dura, il "co de legn" per dirla con nolti di loro, in dialetto, come il legno che lavorano, se sono mobilieri. E quel "co", la testa, ce l'hanno avvitata bene sul collo. Insomma, non mollano, non c'è verso di mandarli a casa (per fortuna). Dieci anni fa hanno invitato i figli a non seguirli in bottega, "studia" gli hanno ripetuto, ma poi loro dalla bottega non si schiodano. Chissà mai che il figlio, magari laureato, ci rientri in quella bottega. Sono anche orgogliosi, gli artigiani, molto, e non ammetteranno mai la speranza di vedere continuata la loro tradizione, ma ci spereranno sempre. È per tutte queste cose che stanno in piedi. Ora, in verità, più che in piedi stanno in ginocchio, ma si provi a buttarli giù se si riesce. Troppo spesso sembra che chi fa le leggi, soprattutto quelle fiscali, di queste cose non tenga conto, forse non le sa. E allora spesso stanga dove potrebbe non farlo e lascia correre dove dovrebbe usare il collare a strozzo.
È come il gioco alla fune, uno tira di qua, l'altro tira di là e non si va da nessuna parte finchè uno dei due non molla. Si vuole davvero che siano gli artigiani a mollare la fune? E poi, chi manda nel mondo il made in Italy? Gli abiti e gli arredi agli Obama chi li fa? Altri, certo. C'è la fila di abili copiatori ed esecutori nel mondo. Ma forse non vale la pena, perché allora sarà davvero finita. Se per avere una linea telefonica e l'adsl, esempio reale, un artigiano aspetta più di un mese, se il redditometro è pronto a picchiare duro senza farsi domande, se un falegname rincorre un costruttore edile (altro esempio vero) sventolandogli il bigliettino da visista e pregandolo di girargli un lavoro «anche un tavolo solo», prega, dove va l'Italia? Due frasi vengono i mente, una viene dalla storia, quella facista, l'altra dal cinema di animazione. La prima è "credere, obbedire, combattere", la seconda la pronucnia la pesciolina Dory nel film "Alla ricerca di Nemo" verso il papà di Nemo: «quando la vita si fa dura, sai che devi fare? Zitto e nuota, nuota, nuota». Gli artigiani stanno applicando entrambi i consigli, ma ci sono due conti che non tornano. Se prima di "obbedire e combattere" c'è "credere" ci sarà un motivo. E gli artigiani, come tanti italiani, non sanno più in cosa credere. Come fanno allora a continuare a obbedire e combattere? Dory invita a nuotare, ma il papà di Nemo aveva un obiettivo, ritrovare il figlio (e lo ritrova); molti artigiani temono di perdere il proprio, che pure è solido perché il lavoro per loro è la vita e la vita il lavoro. «Zitto e nuota».
Carla Colmegna
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