Segnali di fumo dalle scuole. In senso lato e in senso letterale. E la polemica è pronta dietro l’angolo, lo scontro - possibile - fra professori e autorità scolastiche da un lato e studenti dall’altro potrebbe essere alle porte.
Tutto nasce dalla decisione di una scuola di Como di proibire che all’interno dell’istituto si fumino le sempre più note sigarette elettroniche, chiamate "e-cig" dagli addetti ai lavori. «Sono meno nocive - è la spiegazione - ma avviano al fumo vero e proprio, sono diseducative». Quindi scatta il niet, il divieto. Non ci sono ancora dati sulla diffusione di questi apparecchi fra i più giovani, i quali non ancora avvolti nella spirale del "fumo che fa male", che per ora forse preferiscono ancora il prodotto "originale". Ma la questione è sul tappeto.
Perché un elemento sembra abbastanza certo ed è che queste "e-cig" sono meno nocive delle "bionde" tradizionali: non bruciano tabacco e non usano catrame, i due elementi base che spianano la strada alle malattie polmonari. Ma dall’altro lato, la nicotina non manca all’interno del vapore emesso e un recente studio dell’European Respiratory Society sottolinea che con questi strumenti si riduce l’apporto di ossigeno ai polmoni.
In attesa di lumi scientifici, resta la questione vera: le e-cigarette possono allontanare la dipendenza dal fumo reale, quello prodotto dal tabacco, o al contrario possono essere un fattore di avvicinamento, anche per chi non vorrebbe diventare fumatore, alle "bionde" classiche?
Posta in questi termini e in assenza di una sentenza decisiva che nessuno potrà mai dare, le scuole corrono ai ripari. E non si può dar loro torto, vista la funzione educativa e pedagogica che hanno nei confronti dei giovani. Anche se poi l’esperienza storica dimostra che i tempi della scuola sono i più indiziati quando si parla dell’età d’avvio al "vizio del fumo".
Gli istituti dunque chiudono i portoni, o almeno tentano, se non altro per cercare di non far crescere la potenziale platea. Tuttavia rischia di essere una battaglia impari perché, se dietro l’invenzione della "e-cig" vi può essere stato il nobile gesto di tutelare la salute di chi non riesce a smettere, non può sfuggire l’inevitabile business che già ora parla di 7-8 aziende del settore, 1.500 negozi e 5.000 addetti tra produzione e commercializzazione e fatturati in impennata, tanto che solo negli Usa si parla per la fine del 2013 di un giro d’affari di un miliardo di dollari. In Germania, secondo i dati più recenti, gli "svapatori" (così sono definiti questi e-fumatori) sono 2 milioni. Ma, per essere certi di una positiva ricaduta sulla salute, quanti sono i "convertiti"? E sono tutte reali o si tratta di persone che restano comunque prigioniere del vizio senza mai riuscire a uscirne realmente? In attesa di risposte le scuole salvano i principi. Ciò che rimane è la discussione. Che si spera concreta e non... "fumosa".
Umberto Montin