Tutti, per la prima volta, erano decisi a scendere per strada. I più l'hanno fatto solo simbolicamente in questa prima fase, affidando alle loro associazioni di riferimento la marcia, ma ciascuno ha voluto essere presente a modo suo. Andando comunque alla manifestazione, scrivendo i messaggi del “libro nero” di Confcommercio, restando al lavoro (il loro posto di combattimento) ma telefonando ai promotori della giornata di mobilitazione per ribadire che bisogna combattere, tutti insieme.
Non è facile per un commerciante, per un artigiano, uscire dal proprio guscio e metterci la faccia. Non sono abituati, perché concentrati sulla sopravvivenza quotidiana, loro e dei dipendenti: non c'è differenza, in una vera impresa. Non vanno a genio, da queste parti, le proteste plateali.
Non tanto, non solo, la crisi ha provocato tutto ciò. Piuttosto, l'inerzia di una classe dirigente, che in realtà per i piccoli imprenditori si è dimostrata solerte soltanto a tassare e che non ha sciolto i nodi capaci intanto di stritolare le aziende e il mondo del lavoro.
Non è la recessione a seminare la disperazione e la voglia di ribellarsi anche con azioni estranee alla propria mentalità, bensì il latitare ostinato della politica. Che in campagna elettorale sembra confermato ancora drammaticamente dai temi affrontati, o meglio evitati.
La posta in gioco è troppo alta e i piccoli imprenditori comaschi si dichiarano stanchi dei bluff che rischiano di provocare una disfatta.
Tra i messaggi degli associati di Confcommercio, nel “libro nero” consegnato al prefetto, ce n'è uno che spiega quale sia, quella posta in gioco. L'anima, che un Paese, un territorio possono perdere. Perché «il lavoro è anima nella nostra cultura», scrive l'autore di quella lettera. Cultura che viene dai nostri padri, sacrifici per costruire un futuro. E il silenzio o le mosse sbagliate della politica possono vanificare proprio quei sacrifici più dell'esplosione di una bolla finanziaria.
Tra le lettere vergate con rabbia e precisione, si trovano quelle di imprese che hanno anche 100 anni di vita. Non spaccano il capello sull'orario di lavoro, visto che - raccontano - loro in azienda ci stanno anche 24 ore al giorno, per sé e per i loro eredi, per i loro dipendenti.
Vogliono pochi segnali e ben concreti. Una presa di consapevolezza per non farsi sfuggire l'anima, che - una volta distrutta - non torna più.
Come i giovani, parte fondamentale dell'anima di un territorio. Confartigianato Como ha chiesto agli associati quale domanda avrebbero voluto rivolgere al prefetto. Sono arrivate più di 100 mail e una è lapidaria: «Non bastano tre righe per dire quanto sono arrabbiato. A maggio mio figlio vuole emigrare in Australia in cerca di lavoro, può bastare?».
Per gli imprenditori comaschi può bastare, eccome. Hanno lanciato il loro grido, forzando se stessi. Se non dovessero essere ascoltati, ripeteranno con forza ulteriore, in maniera più eclatanti. Perché qualcosa è cambiato, e per sempre.
Marilena Lualdi
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