L'ex premier ha presentato un menù suggestivo, per riequilibrare il rapporto fra cittadino e Stato in Italia. Non tutte le cose che ha detto sono sbagliate. Tutt'altro. Egli ha fatto un elenco piuttosto corretto delle peggiori piaghe del nostro Paese: l'inefficienza della macchina pubblica, gli sprechi, il finanziamento pubblico ai partiti da abolire per “recuperare il rapporto di fiducia” verso la politica, il “clima di intimidazione contro i contribuenti”, gli scandalosi ritardi nei pagamenti alle imprese fornitrici dello Stato.
Peccato che il peggioramento del rapporto contribuente/Stato (vedi alla voce Equitalia) sia in buona parte frutto di misure dei governi Berlusconi; che non sono agli atti importanti tagli alla spesa pubblica dovuti a quegli stessi governi; che nella legislatura 2001-2006 la delega fiscale, che avrebbe dovuto portarci ad avere tre sole aliquote dell'imposta sul reddito, fu lasciata ammuffire; che sui pagamenti alle imprese il governo Berlusconi-Tremonti non seppe risolvere il problema; che non si ha notizia di precedenti proposte del Pdl per abolire il finanziamento pubblico ai partiti. Per abolire il finanziamento pubblico ai partiti in Italia c'è stato un referendum, tradito dai partiti con la regia di Maurizio Balocchi, uomo forte della Lega, oggi in coalizione con Berlusconi.
C'è, infine, la questione dell'Imu. Che, nella sua forma attuale, porta la firma di Mario Monti. Ma che servì al governo precedente per sostituire l'Ici, eliminata in ossequio alle promesse elettorali del 2008. Oggi Berlusconi torna sul tema, annuncia che abolirà l'Imu e addirittura che la restituirà in contanti agli italiani. Come si dice, promessa che vince non si cambia.
A parte il senso di deja-vù, questa sgradevole impressione che le campagne elettorali in Italia siano spettacoli di repertorio, la promessa di restituire i quattrini dell'Imu è rivelatrice. Alcuni anni fa Giulio Tremonti ripeteva a disco rotto la necessità di spostare il prelievo “dalle persone alle cose”. Una tassa sugli immobili è più facilmente esigibile (le case non si spostano), è meno distorsiva (un immobile è un immobile è un immobile), avrebbe senso per finanziare gli enti locali. In un quadro di finanza pubblica così drammatico, come quello in cui ci troviamo, e in un contesto di crisi così forte, è evidente che le prime tasse da tagliare sono quelle su lavoro e impresa: per cercare di ravvivare la crescita.
Ma ridurre la tassazione su lavoro e impresa fa poco effetto sul grande pubblico, mentre una casa, in Italia, ce l'hanno quasi tutti. In aritmetica elettorale, Berlusconi è imbattibile.
E tuttavia, un uomo politico va giudicato alla prova dei fatti: non solo sul metro delle parole. La politica è anche teatro: ma non può essere “solo” teatro, specie quando in vista c'è un drammatico impoverimento del Paese.
I fatti ci dicono che Berlusconi non è mai riuscito a mantenere la promessa di sciogliere lacci e lacciuoli. Persino le privatizzazioni le ha fatte obtorto collo la sinistra, mentre il centrodestra ha riflettuto a lungo su come far sì che i prefetti potessero ordinare alle banche di dare credito alle imprese. Il Cavaliere è bravissimo a giocare a scaricabarile: la colpa delle riforme mancate è stata da lui attribuita, di volta in volta, alla magistratura, ai piccoli partiti, alla Lega, all'Udc, a Fini, a Casini, alla Costituzione, all'undici settembre, all'ostilità dei giornali, a Macchianera e Pietro Gambadilegno. Ma agli italiani che da lui si aspettavano l'agognato cambiamento non ha mai neppure avuto l'onestà intellettuale di chiedere scusa, di riconoscere i limiti della sua azione di governo, di ammettere i propri errori.
“Sbagliando s'impara”, può pensare chi si appresta di nuovo a votare Berlusconi, confidando nella capacità di cambiare l'Italia che ha già dimostrato di non avere. Ma se chi sbaglia neppure riconosce gli errori fatti, come fa ad imparare?
Alberto Mingardi
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