Si chiama preoccupazione, si chiama paura del futuro che sembra sempre più nero. Una condivisione che sa essere anche positiva, perché conduce a forme di solidarietà.
Se ne sono viste tante, di queste forme, nella nostra provincia. Ci hanno confortato, rafforzato in mezzo alla tempesta, e hanno offerto un supporto ai tanti lavoratori in difficoltà. Ma questa stessa condivisione può - anzi deve - valere, anche quando fioriscono storie dal sapore fortunatamente diverso.
Aziende che non solo non frenano o si fermano, bensì crescono e riescono ad assumere. Che conquistano l'attenzione internazionale e spesso più facilmente quella, perché in patria o si lavora di meno (per i pagamenti difficili o la burocrazia velenosa) oppure non ci si mette in vetrina, com'è lo stile di queste terre. Della serie, hai un campione a casa tua, ma neanche ti sei accorto quante volte è salito sul podio, intercettando giusto quella rivelata dal clamore o dal caso.
Aziende che quindi portano in alto il made in Italy, tessendo ogni giorno quella credibilità che altri lidi - politica in testa - minano costantemente con atti e parole. Come la Lema che oggi viene scoperta perché ha tutto un mondo attorno a sé - per plasmare lo slogan della Vodafone a cui arrederà mille negozi - , ma alle spalle ha un lungo percorso fino all'Oriente. O come la Dedar, che ha saputo incantare la regina Elisabetta e una corte con i suoi tessuti di arredamento. E anche questa tappa regale è una delle tante agguantate con il lavoro e la creatività, in Italia e oltre confine lungo la strada.
Ogni impresa ha la sua storia da raccontare, un segreto del suo successo da tenersi stretto, ma spesso si individuano fili rossi, che uniscono le esperienze. Uno su tutti, la capacità di non dimenticare le proprie radici e nello stesso tempo di non lasciarsi avvolgere da visioni legate tra i sospiri ai «bei tempi indietro», che rischiano di ostacolare il cammino. Spalancano la mente, le porte e quindi viaggiano più agevolmente nei mercati esteri che sanno garantire l'ossigeno. Si tratta di attività di famiglia, che sanno mettersi in discussione con formule innovative, per aggredire le nuove esigenze.
In questo modo ogni azienda si porta a casa le sue soddisfazioni, accanto alle certezze per sé e i dipendenti, con questa marcia spesso sommessa. Ma così facendo, il suo segno positivo si riflette sul territorio.
Perché un'impresa che ce la fa - e non è una su mille - diventa un riferimento, prima di tutto, gettando luce su quella strada buia che spesso ci sembra l'unico percorso tracciato senza esitazioni da questo periodo. Una luce concreta, perché c'è una porta a cui bussare, a cui rivolgersi - se non oggi, domani - per un giovane o per un lavoratore che cerca una speranza. E questa luce non è solo in Svizzera (si pensi alla pioggia di curricula quando arriva l'annuncio di un'apertura di questa o quell'azienda nel Ticino), ma sa splendere anche da noi.
Poi si affaccia una luce psicologica, di cui non abbiamo meno bisogno. Perché la crisi è anche una battaglia di nervi, una sfida per impedire a se stessi di credere che la strada sia per forza oscura o addirittura proiettata verso un dirupo da cui niente e nessuno si salveranno.
In questa lotta affrontata insieme, quelli che stanno bene - o semplicemente un pochino meglio - sono la dimostrazione che a qualche vittoria può portare. E non è una notizia da poco.
Marilena Lualdi
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