Tant'è vero che a Bobo Maroni, che pure è un furbetto, la faccenda del voto disgiunto l'ha subito collegata a "De Mita e Pomicino", vecchi politici della Magna Grecia (copyright dell'Avvocato Agnelli) insomma gente abituata al baratto e al compromesso. Eppure anche in Lombardia il voto disgiunto - da non confondersi con il patto di desistenza, bizantinismo d'altro genere che consiste nella scelta, da parte di un intero partito, di non presentarsi in una determinata regione o collegio per non disturbare un partito potenzialmente affine - ha fatto la sua comparsa, e sta provocando malumori nei candidati, e anche nell'elettorato: ma come, se lo fanno loro, io allora a chi dovrei affidarmi?
Ha iniziato Ilaria Borletti Buitoni, gran dama milanese e presidente del Fai, il Fondo per l'Ambiente Italiano, ma soprattutto candidata della Lista Civica di Mario Monti come capolista alla Camera. L'altro giorno l'ha sparata, a tradimento: «In Lombardia voterò Ambrosoli, solo lui può fermare la rimonta di Maroni-Formigoni». A essere sinceri, aveva iniziato prima Pier Luigi Bersani. E' stato lui a dire per primo che i candidati di Monti alla Regione Lombardia dovevano mettersi la mano sulla coscienza, e decidere se preferivano rischiare di far vincere Maroni, l'uomo che ha rifatto l'accordo con Berlusconi e Formigoni, insomma i vent'anni passati della Lombardia. Va detto che non era stata una grande dimostrazione di fiducia nel talento elettorale dell'avvocato Umberto Ambrosoli, candidato che era stato scelto apposta perché potenzialmente in grado di attirare i voti trasversali della società civile. Fatto sta che, dopo la sparata della nobildonna Borletti Buitoni, il primo a imbufalirsi è stato Gabriele Albertini, il candidato al Pirellone che, giustamente, pensava di militare nello stesso partito: «Sorprendente», si è limitato a dire, per non trascendere con una signora. Ma poi ha picchiato duro: «Onestamente mi sembra che stia scassando la barca su cui sta viaggiando. Se quello che facciamo ha un senso, ce l'ha se non siamo assimilabili né all'uno né all'altro. Il messaggio di Borletti invece cancella un'offerta politica, ma penso che il presidente Monti lo chiarirà».
Per ora, Monti non è che abbia chiarito. E la realtà è che, al di là della indiscutibile onestà intellettuale e generosità personale di Albertini, la faccenda ha una sostanza politica vera. E questo lo sanno i politici e i candidati, ma lo intuiscono anche gli elettori (quelli, almeno, non intenzionati a votare lega e Pdl, e che iniziano a temere i sondaggi). Primo problema: se è vero che Ambrosoli sta dimostrando di essere un candidato deboluccio, è anche più vero che la sinistra, nella regione che da vent'anni premia il centrodestra, non ha fatto passi avanti. E allora, cercare sponda al centro è una mossa logica (e Monti lo sa). Secondo problema: che cosa rappresenta veramente la lista Monti, con annessa candidatura Albertini? L'ex sindaco di Milano, ex Pdl, dice che i suoi voti arriveranno dai berlusconiani delusi, e dunque la sinistra non tema… Ma è così sicuro? Non ci sono forse anche tanti lombardi che vorrebbero efficienza e buone riforme economiche, e sanno di non potersele aspettare da Vendola? Gente che voterebbe Albertini, ma non a rischio di ritrovarsi con Maroni. Se da settimane si parla della Lombardia come dell'Ohio d'Italia, la regione in bilico, il motivo, come si vede, c'è. Senza scomodare la Magna Grecia.
Ps. E poi, perché preoccuparsi per il voto disgiunto, se intanto Bersani e Monti si fanno l'occhiolino?
Maurizio Crippa
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