Benedetto XVI si è rispecchiato in queste parole. E non è stato certo il primo dei Papi della storia recente ad aver pensato di dimettersi. Lo fece già Pio XI, al momento dell'aggravarsi della sua malattia. Lo pensò per due volte Pio XII, prima quando Hitler progettava di rapirlo (scrisse una lettera di dimissioni, così i tedeschi avrebbero avuto prigioniero «il cardinale Pacelli, non il Papa), e poi nel 1954, quando si ammalò. Il pensiero sfiorò anche Giovanni XXIII, che ne fece parola con il suo confessore, monsignor Alfredo Cavagna.
È stato poi proprio Paolo VI, il Papa che ha voluto Ratzinger arcivescovo di Monaco e cardinale, il Papa che ha introdotto l'esclusione dei porporati dal conclave agli ottant'anni, a pensare seriamente alle dimissioni, nel 1977. Montini si era premurato di lasciare una lettera con le disposizioni in caso di inabilità prolungata, ma anche aveva deciso di lasciare il pontificato a ottant'anni. Si dissuase, o venne dissuaso. Il tema si è riproposto con insistenza un quarto di secolo dopo, quando la malattia di Parkinson ha fiaccato Giovanni Paolo II, l'atleta di Dio. Wojtyla ha meditato più volte il da farsi, si è consultato con i collaboratori. Ma alla fine ha deciso di rimanere al suo posto, perché «non si scende dalla croce».
Il suo anziano successore, Joseph Ratzinger, aveva vissuto quegli anni essendo uno dei più stretti, fidati e stimati collaboratori del Papa. Non ha voluto che si ripetesse quanto accaduto allora, con il Pontefice «gestito» dal suo entoudage, con il potere sempre più grande del suo segretario particolare. Per questo, «Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio» è pervenuto «alla certezza che le mie forze, per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino».
Non è questione soltanto di forza fisica. Si può, anzi si deve, fare il Papa anche soffrendo e pregando. Ma se il peso diventa insopportabile, e si vedono intorno a sé situazioni difficilmente governabili, se si avverte di non essere più in grado di svolgere l'incarico, anche un Papa «ha il diritto e in talune circostanze anche il dovere di dimettersi». Questo pensiero Benedetto XVI l'aveva affidato non a caso al giornalista Peter Seewald nel 2010. Preparava la Chiesa a un gesto che per lui, per la prima volta negli ultimi sei secoli di storia cristiana, era davvero contemplato all'orizzonte.
Un gesto assolutamente libero e umile, che contribuisce a far capire come il Papa, il vescovo di Roma, sia sempre e soltanto il «vicario di Cristo», non l'eroe protagonista. Dietro la sofferta, storica ed eclatante decisione c'è l'ultimo insegnamento di un grande teologo: a guidare la Chiesa è Gesù, gli uomini al suo servizio, tutti - dal Pontefice all'ultimo diacono - sono soltanto fragili e passeggeri strumenti. Così anche il vescovo di Roma, come accade per tutte le altre diocesi del mondo, può diventare emerito e ritirarsi, per lasciare il posto a un successore.
Andrea Tornielli
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