Ma non c'è solo questo. Sullo sfondo c'è infatti il risentimento, che appare come il vero mood delle democrazie occidentali. Sempre più spesso gli individui mostrano di provare un senso di animosità verso gli altri, verso il mondo in generale, che ha molti e diversi nomi: livore, astio, ostilità, inimicizia, invidia, malignità, acredine, malevolenza, accanimento, vendetta. Ognuno sembra aver qualcosa di cui dolersi, e soprattutto di cui lamentarsi; capita sempre più spesso di incontrare persone che ritengono di aver subito ingiustizie, torti, affronti, frustrazioni, e che danno origine a delle forme di avversione lungamente coltivate.
Ma che cosa è esattamente questo risentimento? Secondo gli psicologi risentimento e rancore sono sinonimi. Risentimento significa "sentire ancora"; rancore viene dal latino, rancor:"lamento, desiderio, richiesta". Lo psicoanalista argentino Luis Kancyper ha scritto che la parola ha la medesima radice di rancidus, "astioso", ma richiama anche altri significati: "stantio" e "zoppo". Quando si subisce un torto ciò che colpisce è il dolore, l'afflizione che ne scaturisce; la reazione immediata è la paura, accompagnata dall'ansia, ma anche da un frequente stato depressivo. Se il torto riguarda la sfera morale, dice Kancyper, e implica un oltraggio o un'insolenza, scattano reazioni come la rabbia o l'ira. Sono queste due emozioni che nel ruminare continuo della mente, si trasformano in rancore e in risentimento.
Tutti noi abbiamo verificato di persona, sia come soggetti che come oggetti del risentimento, che il ruminare, o rimuginare, è l'attività di pensiero ripetitivo, coattivo, con cui gli individui covano il proprio dispiacere. Si tratta, dicono gli psicologi, nel caso del risentimento, del ritornare incessantemente sul proprio stato emotivo senza possibilità di allontanare definitivamente l'offesa o il torto.
Gli psicologi ritengono che la radice profonda del risentimento si trovi nell'invidia. La domanda classica che chiunque si fa è: Perché lui sì e io no? Secondo il filosofo Slavoj Žižek, l'invidia non esprime tanto il desiderio di avere quello che ha l'altro, quanto il desiderio di impedire all'altro quel possesso. Al riguardo racconta una storiella paradigmatica. Una strega dice a un contadino: «Farò a te quello che vuoi, ma sappi che farò la medesima cosa due volte al tuo vicino». E io contadino risponde: «Prendimi un occhio!».
Uno studioso, Stefano Tomelleri, ha scritto che il risentimento è la condizione sentimentale di chi a lungo tempo desiderato, ma non realizzato, ciò cui aspirava, e che ora comprende che quanto aveva immaginato non si potrà mai realizzare. In modo radicale Nietzsche sosteneva che è la democrazia stessa la grande fonte sociale del risentimento: stimola attese che non potrà mai soddisfare. In effetti, a ben pensarci, lo stesso consumismo ha creato grandi aspettative di beni materiali nelle persone, che ora la crisi economica sembra invece allontanare di colpo, negando quello che sembrava a portata di mano.
Cosa potrà succedere nei prossimi anni? Difficile dirlo, perché per disinnescare il risentimento occorrerebbe offrire degli ideali e degli obiettivi diversi da quelli correnti. I discorsi e i programmi dei politici ruotano sempre intorno al denaro, al benessere, alla ricchezza. Per arrestare il ruminare incessante del risentimento bisognerebbe tornare a sognare, a immaginare qualcosa di più grande e migliore per tutti. Ci riusciremo?
Marco Belpoliti
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