Illuminare la città, significa renderla visibile e quindi vivibile. Non è un caso che in ogni parte del mondo il dibattito su questo tema sia sempre aperto. In ogni parte del mondo, ormai da tempo, ci si è posto il problema di come riaprire lo sguardo della gente ai luoghi che vive ma che spesso abbandona. Una strada vivace, piena di persone durante il giorno, può diventare uno spazio completamente diverso di notte. Non appena la gente riparte, i negozi chiudono, la luce svanisce, una strada rischia di diventare tutt'altro che uno spazio invitante. La maggior parte delle strade si "spengono", lasciando ragione alcuna di essere utilizzata.
La luce ha un'abilità stupefacente di trasformare un luogo. L'utilizzo della luce, può trasformare una buia strada in un invitante e affascinante luogo di ritrovo. Un fascio luminoso può far diventare un edificio, un'opera d'arte. La luce può attrarre gente e farla sentire sicura, in luoghi che altrimenti sarebbero sgradevoli.
Ecco perché l'idea che il cuore di Como sia abbandonato al buio, è insopportabile. E' insopportabile che la gente sia costretta ad andare a tentoni anche solo per cercare l'auto posteggiata. O che parte del Duomo sia nascosto agli occhi di chi lo cerca. O che ci siano zone che le gente non vive più perché non si sente sicura. Come è poco sopportabile che tutto questo accada per qualche migliaio di euro e per una burocrazia che rende difficili anche le cose più semplici.
Lampioni rotti e troppo vecchi, lampadine saltate, incuria generalizzata. Settimane passate a decidere a chi tocca intervenire, discussione in commissioni e consigli, preventivi. Non c'è giustificazione che tolga l'amarezza di vedere la bellezza di una città celata da un lampione rotto.
Siamo il Paese dove anche le cose più ovvie diventano complicate, dove aggiustare dieci lampadine diventa un affare di Stato. Siamo in una situazione di crisi economica permanente e non si capiscono più quali debbano essere le vere priorità. Come nel caso di Como, si muovono i cittadini, inventandosi collette civiche per ribellarsi al degrado e all'abbandono. Un'idea illuminata ma che dice molto dello stato di impotenza delle nostre amministrazioni.
Ma a tutto questo non ci si può e non ci si deve arrendere. Ci sono cose che si possono e si devono fare, prima ancora che un giornale se ne accorga. Restituire la luce alla città, soprattutto se il buio scende laddove c'è scritta la storia di questa comunità, è un dovere, una priorità che non accetta tentennamenti. Non c'è un responsabile in tutto questo, ne siamo responsabili tutti. Ma è un fatto che saremo costretti a sprecare soldi per bonificare la Ticosa ma non abbiamo qualche migliaio di euro per riaccendere i lampioni di piazza Cavour.
Facile populismo? Assolutamente no. E' solo amore per questa città. Non vogliamo che ai nostri occhi sia impedito di vedere le sue bellezze, che esistano angoli da non poter vivere, che si abbia paura ad attraversare le sue strade e le sue piazze. Riaccendere le luci, vuol dire riaccendere la città.
Massimo Romanò
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