Nei suoi briefing con i giornalisti, il portavoce vaticano ha smentito in più occasioni che all'origine dell'annuncio papale vi siano i problemi di governo della Curia romana o i veleni di vatileaks.
È però altrettanto vero che, da quanto ha annunciato la decisione di lasciare il pontificato, in più discorsi il Papa ha parlato delle lotte di potere e delle divisioni nella Chiesa. Un tema per lui assolutamente non nuovo, dato che le critiche al potere e al carrierismo sono state sempre presenti. Eppure le sue parole sono suonate come un richiamo significativo per comprendere il momento particolare che la Chiesa sta vivendo.
Nell'omelia del Mercoledì delle Ceneri, il Papa ha parlato del fatto che il volto della Chiesa viene «a volte deturpato». «Penso in particolare - ha aggiunto - alle colpe contro l'unità della Chiesa, alle divisioni nel corpo ecclesiale». Nell'Angelus di domenica scorsa ha quindi invitato a «non strumentalizzare Dio per i propri fini, dando più importanza al successo».
Esattamente un anno fa, in occasione del penultimo concistoro per la creazione di nuovi cardinali, Benedetto XVI aveva detto loro: «Il servizio a Dio e ai fratelli, il dono di sé: questa è la logica che la fede autentica imprime e sviluppa nel nostro vissuto quotidiano e che non è invece lo stile mondano del potere e della gloria». E il giorno dopo aveva ricordato ai porporati che «la Chiesa non esiste per se stessa, non è il punto d'arrivo, ma deve rinviare oltre sé, verso l'alto, al di sopra di noi. La Chiesa è veramente se stessa nella misura in cui lascia trasparire l'Altro - con la “A” maiuscola - da cui proviene e a cui conduce».
Da sempre lontano anni luce dalle cordate, dal sottobosco del potere, dalle lotte intestine nella Curia, Ratzinger ha cercato, con pazienza, in questi otto anni, di richiamare alla conversione, all'umiltà, alla purificazione. È arrivato a dire che la persecuzione più grande e terrificante per la Chiesa non arriva dai nemici esterni, ma dal peccato dentro la Chiesa.
Gli ultimi anni del suo pontificato sono stati un susseguirsi di incidenti, scandali e tradimenti, fino all'epilogo del tradimento del suo aiutante di camera. Appare evidente agli occhi di tutti che il Papa non sia stato aiutato a dovere e talvolta sia stato poco ascoltato proprio da chi doveva dare l'esempio. L'interesse talvolta spasmodico che appare per le questioni finanziarie, le nomine fatte in extremis dopo la pubblicazione della rinuncia, le parole in libertà dei cardinali stanno facendo venire a galla quella «persecuzione».
Il messaggio papale, la sua straordinaria predicazione, sono sempre stati chiarissimi e illuminanti proprio su questo punto: la Chiesa non è un azienda, non ha bisogno di manager, non vive per se stessa, non cerca - o non dovrebbe cercare - egemonie, non esiste per permettere il protagonismo o la carriera di qualcuno, non vive per trasmettere una luce propria, ma quella di Cristo. E in questi tempi dovrebbe essere sempre più capace di una testimonianza vera e limpida di distacco da tutto ciò che richiama il potere mondano.
Con la sua rinuncia per motivi di salute e per il venir meno del vigore dell'animo, in fondo, Benedetto XVI ha compiuto anche un estremo atto di governo. Come sempre accade con ogni nuovo pontificato, a cambiare non è soltanto il Papa, ma anche, gradualmente, la squadra dei suoi collaboratori nella Curia romana.
Andrea Tornielli
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