C'è un comico che fa il politico e tanti politici che diventano comici. Al di là di quello, insuperabile, che ha sempre contestato il teatrino della politica salvo poi costruirsene uno tutto suo. Il tipo che è riuscito a mettere in coda le vecchiette alla Posta per incassare il rimborso immaginario dell'Imu, una scena che, se ci fossero ancora Zavattini e De Sica (padre) poteva finire dritta in un capolavoro del neorealismo tipo Miracolo a Milano.
È stata la campagna elettorale in cui un ex serioso rettore di università si è ridotto a farsi ritrarre mentre accarezza un cagnolino. E in cui un ex pm tosto, grazie al mitico Crozza, è diventato l'icona dell'indolenza. Ma anche la campagna da cui esce con le ossa in frantumi, ancor prima dell'apertura delle cabine, uno stimato, preparato e arguto commentatore economico che è riuscito a farsi sbeffeggiare perfino dal mago Zurli, che pure sembra si serva dal suo stesso sarto.
È stata la campagna delle balle, di chi la spara più grossa. Dalla lettera sull'Imu di cui sopra, alla fola sulla Merkel che non gradirebbe l'ascesa di un partito italiano, ai titoli di studio millantati come la partecipazione allo Zecchino d'oro.
Il più parco, in questo senso, è stato quello che fa la parte della lepre. Forse proprio per questo. Perché basta andare indietro di cinque anni per ricordarsi di un Veltroni che disegnava un'Italia fatta di case di marzapane senza la strega di Hansel e Gretel. Poi è arrivato lo stregone che si è divorato lui prima che il giovin sindaco di Firenze provvedesse a digerirlo. È stata la campagna elettorale dei giaguari con pochi amici. È stata la campagna elettorale degli assenti. E non tutti avevano torto. In primis proprio l'infuocato toscano rottamatore che anche nelle scarne apparizioni, ha confermato di avere una marcia in più e non solo sulla corsia di sorpasso che sta a sinistra. E poi quel siciliano illuso. Ricordate il signore garbato un po' abbronzato con non molti capelli che voleva fare le primarie di un partito di centrodestra? Chissà che fine avrà fatto. Magari dopo l'apertura delle urne ce lo faranno rivedere.
È stata una delle campagne elettorali che, se non avessero inventato gli schermi al plasma, si sarebbe potuta definire catodica. La grande riscossa della tv che sembrava decotta. Complice il clima rigido e il rischio di trovare le piazze vuote, quasi tutti hanno preferito i confortevoli salotti riscaldati dai riflettori. Tranne uno che la televisione l'ha usata al contrario. Ed è riuscito a farsi notare di più senza andarci.
Il paradosso però è stato che alla fine è mancata l'unica cosa che contava: il teleconfronto tra i leader delle coalizioni. La ciliegina sulla torta di una campagna alla fine davvero bislacca, sottotitolata dalla magistratura a beneficio di coloro che non sentono la necessità della questione morale.
È finita. Ma come dice Guareschi nella saga di don Camillo e Peppone è la fine di una storia che non finisce mai. Adesso tocca a noi. Anche se l'impressione è che l'invito che fece epoca di Montanelli a turarsi il naso prima di votare sembra quasi ottimista se paragonato all'oggi.
Francesco Angelini
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