Una beffa, se si conta che Sondrio a Palazzo Madama ne ha mandati addirittura tre e che i grillini sono stati eletti un po' dappertutto. La nostra pattuglia in Parlamento si è invece fermata ai tre deputati, tre erano e tre restano, e per la prima volta nell'Italia repubblicana la provincia di Como non sarà rappresentata a Palazzo Madama. Per la precisione dal 24 aprile 1948, giorno in cui fu proclamato senatore Mario Martinelli, futuro ministro della Democrazia Cristiana. Da allora nei collegi elettorali di Como e Cantù (resistiti fino alla legge Calderoli) si sono alternati nomi più o meno prestigiosi. In qualche caso il candidato non era nemmeno locale ma un esterno paracadutato dai partiti: ritenevano che la gente votasse il simbolo senza curarsi del rappresentante. Presunzione per noi poco lusinghiera ma azzeccata, dal momento che il sindaco leghista di Casale Litta (Varese) Graziano Maffioli, fu due volte eletto nel collegio brianzolo.
Sarebbe però sbagliato declinare il problema sulle persone: a ben vedere ci sono stati lariani doc che a Palazzo Madama non hanno lasciato traccia alcuna. La questione è diversa: il nostro territorio che si vanta giustamente di essere rilevante da un punto di vista economico, storico e turistico, conta poco o nulla. Tanto da non avere nemmeno una bandiera, un segnaposto, un qualcosa nel ramo più nobile del Parlamento.
La provincia di Como è passata da cinque parlamentari a tre. Immutata la rappresentanza alla Camera (entrano Braga e Guerra, Pd e Molteni, Lega) è svanita quella al Senato. Si sapeva dell'addio del leghista Valli, pescato nel mazzo da Bossi e con lui tramontato, ed era da mettere in conto che Alessio Butti non ce la potesse fare in un partito diverso da quello di Berlusconi. Così è stato, anche se al Pdl in quanto ad eletti non è che sia andata meglio.
Certo, è colpa del "porcellum" di Calderoli che premia le liste confezionate dai partiti. Ma significa che nemmeno dentro i partiti i comaschi hanno peso. Sarà anche il Mugello del centrodestra, Como, ma in un Pdl forte e radicato, il comasco più alto in lista per il Senato era Giuliano Sala alla posizione numero 20.
Si dirà che l'idea di una "lobby" territoriale per spingere provvedimenti mirati non ha senso, che i localismi sono roba superata. Vero, ma il problema non sta tanto nello spingere finanziamenti qui o altrove ma nel farsi portavoce dei nostri problemi a Roma. Farsi ascoltare. E se alla Camera tre voci si potranno alzare, al Senato le nostre questioni sono nelle mani degli altri. Dei frontalieri parleranno forse i varesini, delle imprese artigiane lecchesi, monzesi o valtellinesi. Ma della provincia di Como? Del tessile, del mobile, della nostra viabilità o del nostro lungolago? La questione non è elettorale, ma di identità. A Roma, ma anche in casa nostra.
Mauro Butti
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