Nella discussione su quel tema, ci raccontano le cronache di quei giorni, si sono scontrate due scuole. Una «francese» e un'altra tedesca ispirata soprattutto da Karl Rahner e Joseph Ratzinger. I «francesi» dicevano: il mondo è uscito dalle mani di Dio, tutto quello che di bello gli uomini fanno è in sintonia con Dio e il suo Regno. Il male, in fondo, è vinto. Visione ottimista. Semplificando si parlava allora di una visione «tomista».
I «tedeschi» invece erano molto più sensibili al male, al peccato che abita pesantemente la storia degli uomini. È vero che il mondo è salvato, ma non lo è del tutto. Sarà salvato interamente in un futuro che appartiene solo a Dio. Visione pessimista, «agostiniana», perché si rifà a Sant'Agostino.
Che c'entra tutto questo con le dimissioni del Papa? C'entra,. In effetti, non è fuori luogo vedere nel gesto del Papa una certa aura di nobilissimo pessimismo. Pessimismo verso se stesso: la propria vecchiaia, la propria debolezza. Pessimismo verso la Chiesa, di cui ha rilevato ripetutamente le debolezze.
Le discussioni nel Vaticano II hanno visto, allora, prevalere le linea «tomista», pur con molte precisazioni, limitazioni che la linea «agostiniana» ha chiesto e ottenuto. Dopo di allora molto si è discusso e da molte parti si è accusato la Gaudium et Spes di essere troppo ottimista. Si potrebbe allora vedere nel gesto del Papa la rivincita, in qualche modo, di quello sguardo disincantato, agostiniano, «pessimista» sulla Chiesa. Niente di strano. La Chiesa conosce spesso dei grandi movimenti a pendolo.
L'8 dicembre del 1965, ultimo giorno del Concilio, Paolo VI promulga la Gaudium et Spes. È il gesto della massima euforia, dell'ottimismo, gesto «tomista». L'11 febbraio 2013 Benedetto XVI annuncia le sue dimissioni. Gesto del massimo disincanto. Gesto «agostiniano». Sono passati 48 anni. Sembra un'eternità. Anche per questo si capisce che le dimissioni del Papa sono un evento «epocale».
Alberto Carrara
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