A Como nel 2012 il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 6,1%, nel 2011 era del 5,4%, ma fino al 2008 non ha mai superato il 4,2%. Nel 2004 era del 3,4%. La crescita dei senza lavoro è stata progressiva dal 2009 (5,7%). Un tracollo.
Il frontalierato ha sempre dato una mano a tenere bassa la disoccupazione nelle nostre zone, ma adesso qualcosa è cambiato.
I fattori che compongono un quadro così nero sono tanti, ma tra questi, a sentire anche il parere delle agenzie che si occupano di cercare lavoro agli italiani in Svizzera, c'è forte la non specializzazione, soprattutto dei giovani e delle donne costrette a cercarsi un'occupazione perché il marito ha perso la sua. Per questi il lavoro oggi è davvero un miraggio.
La Svizzera accoglie ancora, ma non ha un bacino infinito di offerte di lavoro. In Ticino stanno arrivando anche dalla Toscana e dal Veneto pur di guadagnare qualcosa. Non succedeva da decenni.
La Svizzera inoltre apprezza curricula di persone che sappiano parlare più lingue e che sappiamo fare bene un lavoro. Per questi qualche possibilità di collocamento c'è ancora (benché nei cassetti di alcuni centri di ricerca di impiego svizzero ci siano fermi, anche da tre anni, curricula di manager e di specializzati) per gli altri molto meno.
I dati Istat del 2012 dei disoccupati comaschi però spiegano anche un'altra cosa nuova per la nostra provincia.
Le donne disoccupate nel 2012 sono state il 7,2%, i maschi il 5,2%, ma nel 2011 la situazione maschi/femmine era diversa perché i maschi disoccupati erano il 5,4%, le femmine il 5,3% quindi la differenza tra sessi era molto minore rispetto a quella dell'anno scorso.
La discrepanza si è acuita anche in Lombardia 5,1% di maschi e 6,7% di femmine nel 2011, 6,7% di maschi e 8,5% di femmine nel 2012. Questi valori riguardano persone di età compresa tra i 15 e i 64 anni, praticamente tutta la popolazione comasca e lombarda attiva, in età di lavoro.
Va peggio per chi è più giovane, la disoccupazione femminile in provincia di Como per le donne di età compresa tra i 18 e il 29 anni, nel 2012 è arrivata infatti fino al 16,8%, era all'8,4% nel 2011; per le donne tra i 25 e i 34 anni ha raggiunto l'8,5% nel 2012.
I giovani sono messi peggio di tutti e il dibattito che è nato, all'indomani della pubblicazione sul nostro quotidiano degli annunci di lavoro esposti in alcuni negozi del centro città e della richiesta di assunzioni della Timberland in Ticino, lo testimoniano in modo chiarissimo. Il sito de La Provincia e la sua pagina Facebook hanno accolto disappunto, lamentele, riflessioni, analisi per nulla sciocche scritte ed elaborate dai più giovani. Molti di loro si sono sentiti lesi nella propria dignità «cerchiamo un lavoro dignitoso, non contratti a termine che non ci consentono di fare progetti» ha scritto qualcuno, altri hanno invece puntato l'indice contro chi annuncia di essere alla ricerca di lavoratori senza poi offrire contratti realmente interessanti, altri ancora si sono indignati nel leggere che a Mariano Comense c'è chi rifiuta un impiego da 1200 euro. Molti giovani sono meno superficiali e schizzinosi di quanto i più vecchi li dipingano e cercano legittimamente di costruirsi una professione. Con dati come questi ultimi dell'Istat però cosa si può dire loro? E come si commenta quello che dicono in Ticino: «Dall'Italia ora arrivano e chiedono: "trovatemi un lavoro, qualsiasi, ma che sia fuori dall'Italia", vogliamo andarcene»? Più che di un commento serve una riflessione.
Carla Colmegna
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