Adesso, chissà perché, è diventato uno scienziato. Un cervellone. Uno statista. A guardare certi dibattiti televisivi c'è da mettersi a piangere oppure, che forse è meglio, sbellicarsi dalle risate. Gli stessi identici conduttori - sempre i soliti - che fino a ieri motteggiavano col sopracciglio alzato sulle cialtronate dei 5 Stelle e gli stessi identici opinionisti - sempre i soliti - che si indignavano per quelle volgarità dei grillini che non mancavano mai di scomunicare con il ditino in aria adesso stanno mettendo in scena una conversione a centottanta gradi da puro regno del grottesco.
Uno si stravacca esausto sul divano e gli sembra di venir giù da Plutone. E Grillo che pensa e Grillo che medita e che farà Grillo e Grillo sì che la sa lunga e i barbari di Grillo e il mitico sito di Grillo e la ventata di freschezza di Grillo e Grillo che rifonda l'economia e Grillo che è il preferito di Goldman Sachs e Grillo che bonifica la palude della politica italiana, signora mia, e Grillo che sfida la Merkel e Grillo che sbarca sulla Luna, Grillo che segna il rigore decisivo contro la Francia, Grillo che scrive la Critica della ragion pura, Grillo che trionfa anche a Masterchef, Grillo che spezza le reni alle Grecia, Grillo che invade la Polonia, Grillo che falcia il grano a torso nudo. Grillo che appare e scompare, atterra e suscita, educa e punisce. Gli ultimi exit poll di Piepoli lo danno sulla salita del Poggio mentre, scortato da Casalegno, rivolge lo sguardo pensoso allo spazio vitale verso Ovest…
E' il dato più eclatante di queste sconvolgenti, macchiettistiche e purtroppo tragiche elezioni. Non la fantozziana vittoria del Pd o il trionfante crollo di Lega e Pdl, ma la mostruosa cappa di conformismo che sta tentando di avvolgere il Movimento 5 Stelle e che è stata riassunta in un pezzo crudelissimo e strepitoso di Marco Travaglio pubblicato sul Fatto quotidiano.
Niente di nuovo. Il filo rosso che lega i salotti del potere politico e televisivo, che non a caso rappresentano la vera casta che ha fatto poltiglia di questo paese, consiste nel non capire sostanzialmente un tubo di quello che accade nel mondo reale. Del quale non interessa niente a nessuno e al quale ci si rivolge solo per tartassarlo di tasse o instupidirlo con promesse irrealizzabili. Quelli lì vivono su un altro pianeta e quando, periodicamente, esplode un fenomeno sociale che avevano ignorato, visto che erano troppo occupati a leccare i piedi al padrone del vapore e a mangiarsi le gambe del tavolo, tirano fuori dal cilindro sempre la solita soluzione. Cercano di cooptare il nuovo e di normalizzarlo. E il dramma è che ci riescono tutte le volte.
La stessa identica cosa era successa all'inizio degli anni Novanta con la Lega. Alle Regionali del 1990 l'allora semisconosciuto Umberto Bossi prese un clamoroso 19% in Lombardia, scavalcando il Pci e diventando il secondo partito dopo la Dc: in diretta tv Paolo Mieli, di lì a poco nuovo direttore de La Stampa, aveva strabuzzato gli occhi domandandosi se quei dati non fossero sbagliati. Nessuno, ma veramente nessuno, aveva capito che nel nord, saltato il tappo delle ideologie dopo la caduta del muro, stava franando il blocco sociale della Dc e che ora i suoi elettori, senza più lo spauracchio comunista, iniziavano a prendersi la libertà di fare a pezzi un partito che poco o nulla aveva fatto per quei territori ricchi e abbandonati dalla politica.
E anche in quell'occasione, in tv, nei salotti e sui giornaloni nazionali da sempre in mano al potere costituito, partì la solita manfrina. E i montanari alla conquista di Roma ladrona e il federalismo e la secessione e la Svizzera e l'etica protestante e sangue fresco nelle esangui vene della democrazia italiana, insomma, tutta quell'operazione di servilismo untuoso che puntava - nella più classica linea della storia d'Italia - a inglobare il nuovo, addomesticarlo, masticarlo, sminuzzarlo, corromperlo, succhiargli il midollo poco a poco, fino a renderlo identico a tutto quello che c'era prima. Missione compiuta, che dopo vent'anni la Lega è diventato un partito tale e quale a tutti quelli contro i quali aveva ululato nei comizi e nelle adunate sul Monginevro. E' dolce l'aria di Roma: ti inebria e ti snerva, rimborsi tarocchi e cencelli da sottogoverno ne rappresentano solo l'inevitabile conseguenza. Ci sono cascati tutti, negli ultimi duemila anni, c'è qualcuno che credeva possibile che questi facessero eccezione?
E' per questo che oggi i ragazzi di Grillo fanno tenerezza. Senza alcuna ironia, davvero. Perché non sanno ciò che li aspetta. Bruno Vespa e il plastico della villa di Grillo, Floris con le sue domande in ginocchio, le piazze in estasi di Santoro e compagnia che finalmente hanno trovato un altro feticcio da scaraventare nel tritacarne anti Berlusconi, i salotti delle damazze, i supplì di Montecitorio, la Casina Valadier, le torme di cronisti parlamentari falliti che si offriranno per fare da portavoce, le tentazioni della vanità di diventare famosi e magari millantare pure qualche laurea falsa. Quando torneranno a casa, trangugiati e traditi dalla grande corruttrice, li accoglieremo con una carezza, perché per quanto improvvisati e forse inadeguati, la loro generosità sincera non merita una fine del genere.
Diego Minonzio
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