La verità è che i nostri partiti non hanno fornito l'esatta misura della crisi per paura di dover rendere conto delle cause che l'hanno determinata. Da anni stiamo assistendo al progressivo impoverimento delle classi medie che si trovano costrette ad attingere al risparmio per supplire alla grave flessione di reddito subita in questi anni. Giovani e pensionati sono diventati soggetti sociali privi di rappresentanza: non a caso, gran parte di essi ha deciso di convergere su Grillo che, sarà anche un giullare, come sostengono gli schifiltosi, ma ha avuto la sagacia di ascoltarli. La cosiddetta antipolitica dei nostri giovani rappresenta un dato su cui riflettere perchè rischiamo di non capire le implicazioni che questa crisi economica potrà avere sulle sorti della nostra democrazia. Le grandi crisi nella storia possono cambiare profili e identità collettive, possono innescare vere e proprie mutazioni antropologiche che si disvelano solo a distanza di tempo. Come un fiume carsico, la crisi economica attraversa silenziosamente il corpo sociale modificandolo in profondità. La responsabilità storica del ceto politico italiano è proprio questa: non aver percepito la cifra del cambiamento che la società italiana stava vivendo a causa della crisi. Il "grillismo" rappresenta, in modo dirompente, il disvelamento di una parte di società civile che rifiuta l'idea di una società fondata sul privilegio, sulle caste, sulle consorterie.
La matrice populista del "grillismo" non deve indurre ad ignorare le ragioni per cui si è originato questo movimento che, al di là dell'ingenuo e, talora pittoresco, dilettantismo di taluni esponenti, rappresenta l'ultima occasione per una radicale bonifica della politica finora capacissima di conservare le proprie prebende ma del tutto incapace di risolvere una crisi economica il cui perdurare potrebbe insidiare seriamente la nostra democrazia. Valga per tutti l'antico monito di Rousseau: «Eliminate opulenza e miseria perchè dalla prima nascono i tiranni e dalla seconda i sostenitori della tirannide».
Antonio Dostuni
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