Sembra un controcanto, una nota che procede per conto suo, mentre la melodia principale risuona di desolazione pura. Mentre si sente spesso e tristemente che troppe aziende muoiono per credito: ovvero perché nelle loro casse non entrano i soldi dei clienti e nelle banche non trovano chi dà loro la fiducia per continuare a vivere. Una realtà da cui non si può sfuggire, perché oggi molte imprese avvertono questo peso, un senso di solitudine schiacciante quando la difficoltà piomba su di loro.
Sono lievi forse i segnali che possono rasserenare questo cielo ancora offuscato, per cui si preannuncia una schiarita nel corso dell'anno: ma oggi sembra più un atto di fede, che una previsione "meteorologica" e bisogna ammetterlo. Tuttavia - tanto più quando non si ha null'altro di certo - vale la pena afferrarli e non lasciarli scappare per un'esitazione, seppur comprensibile. Contemplarli, studiarli e imparare a rafforzarli. Si colgono nelle dichiarazioni di un'impresa, appunto, che è riuscita a sopravvivere e non si è vista chiudere la porta in faccia da una banca. Non è piaggeria, la sua, ma orgoglio, perché sa che la risposta positiva è legata a un suo percorso, a una sua serietà, a una storia costruita di credibilità: nulla cade dal cielo.
Ma emergono anche nell'analisi positiva di un istituto di credito sul tessuto produttivo lariano, con la possibilità di costruire qualcosa insieme.
Un tessuto che in parte è lacerato dalle ferite e che nelle ultime ore ha lanciato l'allarme con voci autorevoli per i fondi in esaurimento della cassa e della mobilità in deroga, strumento indispensabile per non soccombere nei periodi di vuoto.
E nello stesso tempo accanto - a volte persino in - quelle ferite si scopre una salute di fondo, una voglia di rigenerarsi che supera le difficoltà, anzi da loro attinge per rinascere.
Ancora, un aspetto non meno importante è sentire: abbiamo sbagliato. Quella prima persona plurale usata senza vacillare significa non limitarsi a scaricare sull'altro le responsabilità, ma prendere atto da ciò che si ha per analizzarsi e trovare soluzioni.
E ciò che abbiamo oggi - piaccia o no - l'unica compagna fedele, è la crisi. Uno scossone, prima che alle imprese e ai posti di lavoro, alle nostre convinzioni, forse alle nostre illusioni. Ripartire da lì, vuol dire trovare un terreno comune e scegliere di avvicinarsi. Perché ci si era allontanati e non si può negare.
Come riuscirci, è una sfida per tutti. Una banca può, dimostrando che ha fiducia e che quindi agisce di conseguenza, ascoltando le persone e non trincerandosi dietro gabbie di formalismi. Le associazioni bussando, insistendo, offrendo la loro competenza e trovando percorsi che abbattano le distanze.
Como ha già iniziato, ad esempio con la formula del tavolo di sostenibilità. Un luogo simbolico e contemporaneamente concreto, dove siedono le categorie, i sindacati e - guarda caso - pure le banche. Dove periodicamente ci si incontra per spendere azioni, e non fatti.
Ma non si tratta di un traguardo, casomai di un punto di partenza, come le stesse organizzazioni sindacali hanno puntualizzato in questi giorni.
Oltre alle decisioni che si possono prendere per attenuare la crisi e cercare di disegnare la crisi, c'è questa ragione di conforto. È, appunto, un luogo dove incontrarsi e smorzare le lontananze, con tutte le differenze che comportano. Considerando questa peculiarità e i segnali lievi da scorgere con un po' di coraggio, è possibile ascoltare altre voci. E si può almeno osare dire: Como non è un'isola felice, ma almeno si è messa in viaggio e vuole raggiungere una riva sicura, insieme.
Marilena Lualdi
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