C'è una differenza sostanziale tra l'essere il vescovo dei poveri ed essere un vescovo povero. Jorge Maria Bergoglio, da ieri papa Francesco, è sempre stato un vescovo del secondo tipo. «Un uomo che vive molto poveramente», ha detto di lui un sacerdote romano che ha vissuto molti anni a Buenos Aires. Sullo stile di vita di Bergoglio affiorano tante piccole notizie che rivelano un profilo del tutto insolito per un uomo che comunque ha tra le mani tanto potere. Ma per Bergoglio la povertà, prima che una scelta, prima che l'esito di uno sforzo è un habitus. È una condizione in cui si trova molto meglio a proprio agio. In cui si sente libero, perché nella condizione di incontrare tutti, di muoversi senza le costrizioni di cermoniali e formalismi che ingessano ogni dinamica umana. Adesso che è stato eletto Papa, c'è da scommettere che non modificherà questo suo stile, come si è visto dalle prime piccole scelte, di apparire alla loggia delle Benedizioni senza paramenti e in semplice abito bianco; o a di aver spostato l'appuntamento con il sarto pontificio per andare a pregare a Santa Maria Maggiore.
C'è un secondo motivo che spiega lo stile di colui che, sino a tre giorni fa era arcivescovo di Buenos Aires: ed è la convinzione, paradossale per la logica del mondo, che la povertà sia anche la via per trovare una credibile felicità. «La felicità», aveva scritto in un articolo di qualche anno fa, «non è nelle nostre mani, e quindi risulta precaria, secondo gli schemi di chi crede di costruire la vita come un proprio progetto. È la felicità dei poveri, che ne godono come dono gratuito. La felicità di chi vive sempre sospeso alla speranza del Signore e proprio per questo è tranquillo». Per questo oggi Bergoglio, pur essendosi caricato sulle spalle un peso che potrebbe inquietare anche i cuori più forti e più battaglieri, invece si è mostrato al mondo con un volto lieto e con un aspetto forte e profondamente tranquillo.
C'è infine un terzo motivo che lega Bergoglio ai poveri: ed è la lotta alla povertà. Sembra una contraddizione rispetto a quello che abbiamo detto sin qui, ma non lo è. Bergoglio non ha ricette politiche, difficilmente lo vedremo produrre documenti di giudizio economico sociale. È un uomo pratico che ragiona per evidenze e quando vede, come ha detto nell'omelia recente del mercoledì delle Ceneri «tante famiglie, con ginocchia vacillanti, che continuano a far fronte alla vita senza trovare sostegno alcuno», non tace. Chiede alla politica di cambiare le sue priorità. Le cronache sono piene di scontri tra lui e Nestor e Cristina Kirchner, da decenni alla testa dell'Argentina e da lui apostrofati come «politici meschini e senza cuore» e più volte accusati di reggere un sistema fondato su una dilagante corruzione. Parla pubblicamente, denuncia: ma l'ultima delle sue intenzioni è poi quella di darsi una visione politica. A ciascuno la sua vocazione. E la vocazione di un vescovo - e anche di un papa - è quella di stare in mezzo al suo popolo per condividerne la vita, «nel segno di quella speranza che viene dal Signore che viene a trovare il suo popolo dappertutto». Tutto questo si traduce in un'attenzione appassionata alle condizioni di vita della gente. Così quando si è trattato di difendere le favelas argentine (le "villas miserias") dai "mercaderes de las tinieblas", i mercanti delle tenebre, cioè i trafficanti di droga, Bergoglio non si è tirato indietro. Ha incitato i suoi preti a lavorare anche nella prevenzione delle tossicodipendenze e nel reinserimento sociale dei ragazzi drogati, ad aprire comunità di recupero. Quando uno di questi suoi parroci ha subito le minacce fisiche dei trafficanti, ha alzato la voce pubblicamente, così da proteggerlo. Ma poi ha voluto sottolineare che anche agli spacciatori bisogna lasciar aperta una speranza. Non sanno il male che fanno. «Ma si caccia via qualcuno perché è cattivo?», disse in quell'occasione. «No, al contrario, lo si accoglie con più affetto. Ce lo ha insegnato Gesù». Abituiamoci ad avere a che fare con un Papa che è davvero dell'altro mondo.
Giuseppe Frangi
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