Oggi la maggioranza richiesta dai regolamenti si assottiglia e dunque, in un modo o in un altro, concordando o discordando, i presidenti usciranno fuori, e speriamo che siano all'altezza. Ma il punto è che per ventuno giorni la strategia di Bersani, leader della coalizione che ha conquistato la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera e quella relativa al Senato, non ha prodotto alcun risultato nel faticoso cammino cominciato ieri e che prevede fin troppe tappe: presidenti delle Camera, governo, presidente della Repubblica. Un percorso che se sul fronte governativo venisse risolto con soluzioni fragili o pasticciate inevitabilmente porterebbe alle elezioni anticipate già in giugno, e sempre con l'odiata legge elettorale detta "Porcellum".
Nella speranza di aprire un dialogo Bersani e Vendola hanno provato ad offrire ai grillini la presidenza della Camera, fidandosi dei propri 340 seggi e rischiando di rompere con un pezzo di partito che si riconosce nel candidato da mesi a quel seggio che è l'ex capogruppo Dario Franceschini. Ma i grillini hanno fatto spallucce: "vuoi darci la presidenza della Camera per fare un accordo di governo? Grazie per la poltrona ma non facciamo accordi". Bersani ha sopportato molti insulti da Grillo e dai suoi seguaci, pur di ottenere l'apertura di qualche spiraglio, ma finora non è servito a niente. Anzi, se ora seguisse il consiglio di Vendola di votare comunque un candidato cinque stelle per poi vedere "che effetto fa", rischierebbe di fare un regalo totalmente senza contropartite e di mettersi in una situazione molto difficile con i suoi. Per di più Monti si sta agitando, mettendo veti sul MS e addirittura facendo trapelare una propria disponibilità ad occupare la poltronissima del Senato "ma solo sulla base di un vasto consenso". Una prospettiva che irrita il Colle per la ragione che a quel punto sarebbe acefalo il governo in carica per il disbrigo degli affari correnti che comunque continua a tenere buoni i partner internazionali e i mercati mentre a Roma ci balocchiamo.
Insomma, è un pasticcio. Che rivela soprattutto il limite della strategia bresciana. Non a caso Berlusconi ieri si è ritirato da ogni trattativa sui vertici istituzionali: si occuperà solo di Quirinale, la vera grande posta in gioco, il vertice della Repubblica che in tanta incertezza resterà ancora, dopo Napolitano, l'unico punto di equilibrio possibile e per una durata certa di sette anni. Sul Quirinale il Cavaliere tornerà a dire la sua, lasciando nel frattempo che il Pd continui ad inseguire Grillo dal momento che il suo segretario non ha mai seriamente preso in considerazione l'ipotesi di un governo tecnico, o istituzionale, o di scopo come si voglia chiamare, sostenuto dalle tre forze che hanno fin qui appoggiato Monti e che Berlusconi ha proposto sin dal primo minuto dopo le elezioni.
Eppure, a prescindere dalla partita sui presidenti delle Camere, è proprio la prospettiva di un governo istituzionale che continua ad essere considerata la più probabile da tutti dopo questo tentativo che Bersani ha deciso di fare a tutti i costi.
Ma per il momento stiamo a questo primo tempo della partita, a Montecitorio e a Palazzo Madama. . La notte che sarà appena trascorsa e oggi potrebbe aver portato qualche soluzione nei conciliaboli delle ore piccole. Vedremo dalle votazioni di questa mattina se saranno soluzioni di conciliazione o di rottura. E capiremo molto di quel che ci attende la prossima settimana quando Giorgio Napolitano comincerà le consultazioni per il nuovo governo.
Andrea Ferrari
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