L’occasione non fa l’uomo consumatore. Tanto più se le sue tasche sono tristemente vuote.
Una riflessione che si innesca nel Comasco da più fronti. Ha destato scalpore, per cominciare, l’apertura di una breccia: quella nel muro delle abitudini svizzere, con il primo sì di Berna ad aprire la sera fino alle 20 e anche la domenica.
Fuga da Como verso il Ticino? No, non su questo fronte almeno. Perché l’unico viaggio in corso - e non da sottovalutare - è il trasloco o il raddoppio delle imprese nell’isola felice, soprattutto della burocrazia.
Ma le vetrine sempre splendenti e accessibili no: non sta lì il segreto del successo commerciale. In periodi come questo - e ieri l’analisi nazionale di Confcommercio a Cernobbio ha lasciato pochissimi margini di ottimismo sui mesi che ci attendono - lasciare la saracinesca alzata anche la sera o la domenica rischia di essere solo un bello show. Dove si presenta un problema: il prezzo del biglietto, troppo elevato.
Per il consumatore, prima di tutto. Lo grida un nuovo indicatore dal nome poco rassicurante - il Misery Index - in grado di fotografare il (crescente) disagio sociale. Disagio che è raddoppiato dal 2007 a quest’anno, ha documentato l’Ufficio studi di Confcommercio.
Con le tasche sempre più vuote, il consumatore può essere tentato di fermarsi ad ammirare le vetrine, ma diventa l’unico gesto che si può permettere. Oltrepassare la soglia per acquistare ha più il sapore di una missione impossibile di questi tempi.
Non è il motivo per cui Confcommercio non si dichiara preoccupata dalla nuova tendenza che la Svizzera potrebbe abbracciare, si intende. Como rivendica - oltre agli indubbi vantaggi economici - una tradizione, una qualità, un modo di porsi al cliente, che hanno riscosso nel tempo un gradimento saldo.
Si fa strada un’ulteriore considerazione, che è emersa anche nel dibattito a Cantù sulle aperture domenicali, contestate da Confesercenti. Nei negozi la liberalizzazione non paga: casomai, in queste condizioni costa.
Ampliare gli orari non ha portato finora un boom delle vendite, di conseguenza non ha fatto registrare alcun influsso positivo sull’occupazione. L’unica certezza - con gli orari estesi - è l’aumento dei costi. Che di fatto in questa prolungata fase di recessione può significare un aggravio per le piccole imprese, costrette a confrontarsi con la grande distribuzione sul fronte degli orari. E a uscirne con le ossa rotte. Insomma, avere i negozi sempre spalancati a disposizione rappresenta potenzialmente una grande comodità. Peccato possa essere sfruttata da pochi.
Il nodo è il potere d’acquisto sfumato, che non si recupera se non ridando fiato alle famiglie. E uno dei mezzi reclamati a gran voce dalle imprese è la capacità dello Stato di operare reali tagli sulla sua pesantissima macchina e di dare alle imprese ciò che deve loro. Nonché imprimere uno scossone a un sistema del lavoro ingessatissimo: il raffronto tra Italia e Germania è disarmante e mette a nudo le nostre debolezze.
Non è che con questo gli imprenditori debbano stare ad aspettare, né intendono farlo. Prima di chiedere a chi governa di mettersi in discussione, l’hanno fatto con se stessi: a Como inventandosi formule nuove e cercando di costruire una mentalità differente, come nel turismo. Ma i loro sforzi, da soli, non faranno affollare i negozi.
Marilena Lualdi