È impressionante con quanta leggerezza noi italiani deleghiamo storicamente al primo che passa il potere già di per sé straordinario di decidere del nostro futuro: basta sbraitare quattro ululati in piazza, raccontare un po' di balle sul taglio delle tasse, strillare al complotto alla prima critica che arriva e ripetere estasiati che l'Italia è un paese meraviglioso e che però la gente è stufa e il gioco è fatto: un bel venti per cento non te lo toglie nessuno. Da lì in avanti i sacri furori palingenetici dei nuovi onorevoli si possono riporre in cantina per riempire invece i cinque anni che separano dalle elezioni successive con un olimpico chissenefrega.
E anche stavolta andrà così. Con l'avvento del Movimento 5 stelle, in Parlamento non è cambiato proprio niente. O meglio, è cambiato tutto ma non è cambiato niente. Certo, la rivoluzione del voto di febbraio è indiscutibile, i neoeletti sono quasi tutti giovani e nuovissimi, il deragliamento dei blocchi sociali e partitici garantiti da Pd e Pdl evidente e con tutta probabilità inesorabile, ma sotto sotto le tecniche della "presa del potere", al di là dei ridicoli strombazzamenti sulla catarsi culturale internettian-grillina, sono le stesse di prima. Le stesse di sempre. Un capo autocratico, uno pseudopartito "leninista", un cerchio magico, uno smisurato e imbelle parco buoi. Punto. E tanti saluti alla democrazia più bella che c'è.
Se ci mettiamo a osservare con cura la struttura gerarchica dei Cinque stelle si nota forse qualche differenza con la Lega dagli esordi fino a quando Bossi ha tenuto il timone del comando? O del Pdl di prima, di oggi e di domani, dove Berlusconi è tutto e tutti gli altri meno di zero? O del Politburo piddino, all'interno del quale non esiste un solo leader inamovibile - almeno questo gli va riconosciuto - ma una casta di intoccabili di lungo corso più legati alla poltrona dei generaloni della Romania dei tempi d'oro?
Grillo e Casaleggio hanno utilizzato, per controllare la loro entusiasta, spaurita e tanto tanto sprovveduta rappresentanza parlamentare, le più consumate tecniche di gestione del reparto salmerie: carezze, rimbrotti, minacce, perdoni. Si lasciano sfogare i ragazzi ma poi, quando bisogna andare al sodo, li si manda tutti a dormire. Il gioco lo conducono loro. Basta guardare i due capigruppo. Niente di personale, ma Vito Crimi e Roberta Lombardi sono due nullità. Quando il primo, con l'arruffata sicumera dei liderini sessantottardi mentre organizzavano la rivoluzione proletaria al terzo giro di bianchi, si è permesso di dire che alle consultazioni "aveva tenuto sveglio Napolitano" si è subito capito di che pasta fosse fatto. La stessa di quei buzzurri alla Prosperini che si davano di gomito al bar dopo aver straparlato di riforme e dei quali proprio i grillini avevano promesso di far piazza pulita. Uno vince alla lotteria e invece di ringraziare san Luigi e mettersi a studiare si atteggia subito a statista dei tempi nuovi come un Di Pietro qualsiasi. Che pena. Sulla Lombardi, poi, e sul suo spassosissimo revisionismo storico da scuola per corrispondenza non è neanche il caso di infierire, visto che infinite risate omeriche sul tema ci sono già state regalate dai trattati storici di La Russa e Alemanno… Il dramma vero è che, da subito, Grillo e Casaleggio hanno fatto come tutti gli altri: si sono circondati dei mediocri, dei peggiori, facendo emergere solo gli insulsi esecutori di una linea che sta completamente al di fuori dal dibattito del gruppo parlamentare, al quale tra l'altro si è arrivati magari grazie a duecento preferenze su Internet. Comico. Sarebbe questa la vera democrazia? E che differenza c'è con il tanto vituperato listino bloccato del Porcellum? Proprio per questo, tutto fa pensare che i due statisti proseguiranno nel solco del peggior personalismo, frutto avvelenato e unica eredità della seconda Repubblica: epurazione dei migliori, seppellimento nelle retrovie di chiunque si ostini a pensare con la propria testa, premi e incarichi ai signorsì sempre pronti a dare aria alla vanità dei grandi capi con il ventaglio del servilismo e della piaggeria. Un altro disastro di questi vent'anni maledetti che fanno quasi rimpiangere le tresche forforose e le imboscate da sagrestia della prima Repubblica, figlia di un'Italia schifosa e tragica, ma più seria, dove per arrivare al vertice di un partito si dovevano almeno passare tutti i gradi di un romanzo di formazione politica lungo anni. Adesso si prende un finto laureato in quarta fila e gli si mette subito in mano un ministero.
Quello della politica è un pane duro, questa è la verità, e per addentarlo ci vogliono denti saldi e preparazione, umiltà, competenza. Centrosinistra e centrodestra dagli inizi degli anni Novanta a oggi hanno combinato tali disastri e raccontato tante di quelle frottole e rubato e sprecato tanti di quei soldi che andrebbero fatti sparire dalla scena per sempre. Non hanno ancora pagato abbastanza. Anzi, non hanno ancora iniziato a pagare. Ed è quindi comprensibile che milioni di elettori abbiano scelto un voto di rivolta e di disprezzo. Legittimo. Giusto, addirittura. Doveroso. Ma se il risultato di tanto sdegno è veder arrivare alle consultazioni al Quirinale un comico cisposo che regala qualche verità rivelata alla folla, ignora i suoi deputati e se ne va sgommando in mezzo al traffico, bruciando almeno tre semafori rossi in sequenza come la più becera delle sottosegretarie di un governo Berlusconi, allora forse era meglio lasciare quelli di prima. Il potere è una belva feroce. Ci vuol ben altro di un Grillo per domarlo.
Diego Minonzio
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