Città multistratificate, innalzate verso il cielo o sepolte nella terra. Città che usano lo spazio per stabilire rapporti fra un'abitazione e l'altra, percorse da grovigli di fili, interconnesse da una ragnatela elettronica, la Rete preconizzata decenni fa dalla preveggenza di un acuto sociologo, Lewis Mumford. Ma anche le megacittà, come Pechino, sovrastate da una minacciosa nuvola inquinante prodotta dalle espettorazioni di macchine, industrie, bracieri di rifiuti tossici.
Così appaiono, nelle realizzazioni o nei progetti rimasti sulla carta o sul monitor, gli agglomerati urbani fra Novecento e nuovo millennio ricostruiti o esemplificati nelle sale di Villa Olmo per la mostra del nuovo corso espositivo voluto dal Comune. Nuovo corso che non esclude affatto (sia detto per troncare sterili polemiche) la possibilità di rientrare ancora episodicamente nel circuito nazionale delle esibizioni artistiche, comunque destinate a ricorrere come materiale espositivo alla periodizzazione minuta di espressioni artistiche e non alla delibazione ammirata di capolavori ormai quasi sempre rinchiusi a doppia mandata nei musei. E alla storia, sia pure trasformata in spettacolo visivo, ricorre anche la grande mostra che occupa una parte di Villa Olmo, oggi purtroppo usata e attrezzata per un decimo di quello che potrebbe offrire. Una storia che riflette sulla civiltà urbanistica e architettonica del nostro tempo, dai nonni ai nipoti, con uno straordinario punto di avvio, la Città Nuova di Antonio Sant'Elia, geniale interprete di un futuro che scavalcava la realtà del primo Novecento, trasformando in una possibile colossale arnia ronzante in continuo movimento la metropoli del Duemila. Sbaglia chi ancora oggi la qualifica una semplice utopia senza concretezza, sostenendo che si tratta di una ennesima città impossibile, nutrita dalle fantasticherie di narratori come Verne o Salgari, di illustratori come Robida , Corbett o Runnel con le loro deliranti prefigurazioni di una tentacolare New York, la spettrale Metropolis del noto film di Lang. L'immagine santeliana del futuro, malintesa persino dagli stessi futuristi marinettiani che la esaltarono, ha una credibilità tutt'altro che scontata.
Genio comasco, gloria nostra. Ma anche mito internazionale continuamente da riscoprire. Per metà della mia vita mi sono adoperato a rivedere, a ripensare la sua opera: e oggi, dopo aver rivisto la collezione civica dei famosi disegni conservati nella Pinacoteca civica, esaminandoli in primo piano grazie ad adeguati strumenti d'indagine, mi ritrovo a pensare che il campo di studio non è affatto esaurito, anzi ha bisogno di nuove esplorazioni e della revisione di troppi giudizi imprecisi, talora devianti. Per questo è quanto mai opportuno che la mostra di Villa Olmo, riferendosi all'eredità di Sant'Elia, si sia sdoppiata con un'altra mostra in Pinacoteca, denominata impropriamente "settore" dell'altra quando è invece la sua premessa. Questa operazione culturale, che giustamente considera Villa Olmo come il terminale di un sistema espositivo articolato in varie sedi, presenta due mostre distinte, due cataloghi e un laboratorio multimediale insediato in Pinacoteca che resterà sempre a disposizione del pubblico. Per rivalutare il ruolo di Sant'Elia e capire meglio l'influsso esercitato "dopo" di lui l'operazione di studio compiuta era necessaria e ancor più necessario sarà il proseguirla d'ora in avanti, sistematicamente, con sufficiente impegno. Quanti avranno da ora la possibilità di ammirare disegni fino ad oggi difficilmente consultabili si renderanno conto di quanto siano interessanti anche gli schizzi più piccoli e frettolosamente tracciati per intendere meglio il metodo progettuale di Sant'Elia, il progressivo avvicinamento all'edificazione di quell'universo urbano che la morte prematura gli ha impedito di completare.
Solo così anche il visitatore più distratto sarà in grado di intuire che quel mazzetto di fogli percorso da labili segni di matita e penna è d'importanza singolare. Principalmente, per un motivo. Antonio Sant'Elia, giovanissimo profeta di un domani della società di massa, non è l'addendo isolato di una storia urbanistica della modernità, è lui stesso storia, così misterioso nella sua inconclusa scalata ad un complessivo progetto realizzabile di megacittà, unico padrone del suo sogno grandioso.
Alberto Longatti
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