Se parlate con i ragazzi in cerca di lavoro, tireranno fuori questo peso. La difficoltà di trovare un posto, certo, lascia il segno. Ma quello che non mandano proprio giù è il silenzio da parte degli adulti, delle aziende.
Che si indignino per questo motivo, è giusto e può insegnare qualcosa anche a noi, fiaccati dagli abitudini. Non vogliono abituarsi, i giovani, al vuoto di risposte, che non diamo ufficialmente per motivi tutti ragionevoli. Quante mail, quanti ragazzi che scrivono sondando se ci sia possibilità di un posto di lavoro, riceviamo ogni giorno. Troppe, come le grane quotidiane. E striminzito è il tempo per dar retta a tutti, ci ripetiamo per giustificarci.
Ma è il silenzio assenso che viene capovolto: non ho bisogno di te, quindi non ti rispondo nulla. Non ci si rende conto che con questo passaggio si comunica un altro messaggio: tu non esisti.
Poi noi adulti possiamo dedicarci con serietà (e più spesso severità) ad analizzare il mondo dei giovani e pontificare su quella devastante percentuale di ragazzi che non studiano, non lavorano, né si adoperano per ottenere un impiego. Per sentirci più tranquilli forse abbiamo etichettato questa fascia di popolazione tra i 15 e i 29 anni con una sigla, Neet (Not in Education, Employment or Training) e scuotiamo la testa perché hanno superato i 2,3 milioni in Italia.
Sono gli "scoraggiati" che sentono di non poter entrare in fabbrica o in un ufficio, e metaforicamente (ma non troppo) nel mondo degli adulti che appare lontano e indifferente. Ora, per abbattere questo fenomeno bisogna andare alla radice e dare una risposta concreta alle richieste che sindacati e imprese portano avanti da tempo, a partire da una scossa alla riforma del lavoro con troppe evidenti lacune.
Ma non bisogna sottovalutare l'aspetto psicologico. Non rispondere a qualcuno che ci sta rivolgendo la parola, è ritenuto atto di maleducazione: non sto parlando con il muro, si è soliti protestare.
Si trasforma anche in un gesto violento, perché significa ignorare l'altro e calpestare la sua voce. Ci si comporta come se non esistesse e non tutti sono abbastanza forti per sopportarlo.
I giovani hanno nel sangue la voglia di lottare e per fortuna non è facile smorzarla. Ma c'è quel fenomeno, che non è una fredda sigla: ragazzi in carne e ossa, che hanno smesso di cercare. E magari anche un no può aiutarli a non rinunciare.
Sembra un paradosso. Eppure è così, perché loro non chiedono "solo" un lavoro e non hanno bisogno di una pacca di spalle. Non è questione di pietà, insomma, di fare la carità con una risposta fatta scivolare, rubata tra un'incombenza e un'altra.
Piuttosto, rispondere significa ascoltare, che non ha mai fatto del male a nessuno, a partire da chi compie questo gesto. È ascoltando che si impara. E magari, accogliendo le parole di una ragazza come Giulia, si può rimanere colpiti non solo dalla sua domanda: c'è posto per me, nella mia terra?
Già, più potente ancora è la sua risposta sollecitata: «Sì c'è, e voglio provare a ottenerlo». In questi tempi difficili - ma anche in cui ci piace lamentarci - Giulia e i nostri danno una scossa alle nostre abitudini. Ci comunicano forza. Anche per questo siamo debitori nei loro confronti di una risposta. Che sia una mail o un posto di lavoro.
Marilena Lualdi
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