Giorgio Napolitano è un presidente della Repubblica prossimo alla scadenza del suo mandato. Il sentiero nel quale il Capo dello Stato si può muovere è pertanto stretto. Per questo ha voluto nominare “due gruppi ristretti di personalità” per formulare “precise proposte programmatiche che possano divenire in varie forme oggetto di condivisione da parte delle forze politiche”.
Si è molto discusso sulla composizione di questa squadra di “saggi”, e non sono mancate le polemiche, più che comprensibili, per l'assenza di donne.
Ma, in ultima analisi, lo scopo di questa duplice commissione è guadagnare tempo. Il nodo del governo verrà sciolto solo dal nuovo presidente. Se destra e sinistra riusciranno ad accordarsi su un nome autorevole, diventerà nuovamente impossibile immaginare una grande coalizione che veda protagonisti, assieme, Pd e Pdl. Questo è il percorso più logico, più ragionevole, quello che si osserverebbe in qualsiasi “Paese normale”. Se invece Grillo riuscisse a trascinare il Pd sul suo terreno di gioco, se proponesse ad oltranza un nome sul quale i democratici (spinti anche dalla pressione dei quotidiani loro più vicini) non potrebbero che convergere al quarto scrutinio, lo scenario sarebbe ben diverso. O un governo Grillo-Pd, più probabilmente, nuove elezioni (quasi) subito, senza nemmeno il tempo di rifare la legge elettorale. In entrambi i casi, è facile prevedere un'impennata dello spread e la diffusione di crescenti timori per la paura dell'euro.
L'incrocio di rivendicazioni “identitarie” dal quale scaturisce questa fase di ingovernabilità, a cominciare dal bisogno del Pd bersaniano di rifiutare qualsiasi abboccamento coi berlusconiani, è un riflesso della crisi profonda che sta attraversando il Paese. L'Italia ha un debito pubblico elevatissimo, una tassazione ai limiti dell'esproprio, un settore produttivo che comprensibilmente langue e soffre e una disoccupazione in crescita. Le imprese di successo, che in Italia non mancano, si confrontano con l'estero: e in questi anni hanno imparato ad adattarsi alle migliori pratiche dei concorrenti internazionali. Ma buona parte del nostro mondo imprenditoriale contava sulla domanda interna. Non c'è da stupirsi se essa non riprende. L'unica cosa che siamo sicuri cresce e continuerà a crescere, in Italia, è la pressione fiscale. Gli italiani si sentono, e sono, spremuti come limoni.
Se l'impressione diffusa è che l'economia sia destinata a diventare una guerra fra poveri, tanto più importante diventa soggettivamente il bisogno di “appartenere”, di essere parte di qualche cosa senza se e senza ma. I politici ci giocano. Se i toni della campagna elettorale non sono mai venuti meno, è perché gli esponenti più avvertiti di tutte le forze politiche sanno benissimo che governare l'Italia frutterà loro pochissimo, in termini di popolarità. E allora tanto vale affermare un noi contro un loro, de-legittimarsi rispettivamente, perché almeno in questo modo si compattano i propri elettori, si pianta una bandierina.
Giorgio Napolitano ha tentato, invano, di riaffermare una sorta di primato dell'amor patrio. Di condurre Pd e Pdl verso un approdo comune: un governo che non potrebbe durare molto, ma dovrebbe perlomeno consentire la realizzazione di poche riforme, destinate a tamponare la crisi di legittimità del sistema politico.
Questa è, oggi, la tragedia del nostro Paese: l'innestarsi sulla crisi economica di una crisi istituzionale che, esattamente come la crisi economica, covava da anni. L'Italia non è vittima del destino cinico e baro: stiamo pagando il conto di anni di mancate riforme. Di mancate razionalizzazioni della spesa pubblica (che avrebbero reso la macchina della Pa meno costosa e più efficiente), di mancate privatizzazioni (che avrebbero ridotto il debito), di mancate liberalizzazioni (che avrebbero costretto le imprese a imparare a competere), ma anche di una mancata riforma della nostra Costituzione. Che forse non è “la più bella del mondo” se produce esiti come quelli che abbiamo sotto gli occhi. Nessuna riforma, e men che meno la riforma della Costituzione, può produrre risultati immediati. Ma non farle ci ha portato dove siamo ora. Cerchiamo di non dimenticarlo.
Alberto Mingardi
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