Dalle elezioni di febbraio sono passati ormai 38 giorni, ma il successore di Mario Monti non è ancora alle viste.
Nel dare l'incarico a Bersani, Giorgio Napolitano ricordò che in altri paesi occidentali la nascita di un governo può richiedere tempi lunghi e si era richiamato a quanto accaduto in Olanda e in Israele, dove erano occorsi rispettivamente 54 e 55 giorni per avere un esecutivo. Per restare in media, l'Italia dovrebbe darsi un governo nelle prossime due settimane: quanti sono disposti a scommettere che ci riuscirà?
Napolitano ha provato a sbloccare lo stallo con l'istituzione delle due commissioni di saggi chiamati a redigere un programma sul quale le forze politiche possano concordare un comune programma per un governo di scopo: con in testa la modifica della legge elettorale e i provvedimenti economici anti-crisi.
Dando l'avvio ai lavori delle due commissioni al Quirinale, Napolitano ha voluto precisare i contorni dell'operazione, rispondendo così alle critiche e alle perplessità che sono venute un po' da tutti i partiti (e che hanno indotto il capo dello Stato a un clamoroso sfogo con il Corriere della Sera). Napolitano ha voluto togliere di mezzo la preoccupazione che i«magnifici dieci» siano stati chiamati al Quirinale con intenti dilatori (invece dovranno produrre i risultati del loro lavoro in otto-dieci giorni). In più, Napolitano ha chiarito che l'inedita decisione non intende prefigurare quale debba essere la futura maggioranza di governo.
È un fatto, però, che gli unici politici chiamati a far parte delle due commissioni vengono dal Pd, dal Pdl e da Scelta civica: di qui il sospetto che dietro la scelta di Napolitano ci sia la volontà di dar vita a un governo di larghe intese.
Forse anche per questo Bersani ha sentito il bisogno di uscire dalla fase di «congelamento» in cui era finito dopo la conclusione negativa del preincarico e di tornare a proporre la sua ricetta: un governo di rinnovamento da lui guidato e che tenga fuori il pdl, salvo che per approvare insieme le riforme istituzionali. Berlusconi sente avvicinarsi il rischio che il Pd, con l'appoggio dei grillini, porti al Colle un uomo di parte: il Pdl teme che arrivi un Prodi o uno Zagrebelski, comunque un presidente che non renderebbe la vita facile a Berlusconi dentro e fuori le aule dei tribunali. Ma i pidiellini temono anche un altra cosa: e cioè che un capo dello Stato a loro ostile possa ridare l'incarico a Bersani, avendo in più come arma di pressione quella dello scioglimento delle Camere.
Bersani assicura di voler lavorare affinchè il nuovo presidente della Repubblica vanga scelto «a larghissima maggioranza», e si dice pronto a incontrare Berlusconi. Ma nel Pdl nessuno si fida, e Berlusconi è ormai deciso a fare di tutto per scongiurare il pericolo che il Quirinale si trasformi in un avamposto dei suoi nemici.
Marco Dell'omo
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