Sono le stanze della politica italiana. Che a due mesi dalle elezioni continuano a macinare incontri, polemiche, dibattiti di livello così alto da non poter essere afferrato dagli umani. Intanto viaggiano stancamente decisioni fondamentali per le aziende, come il decreto sbloccacrediti.
Si continua a parlare e riflettere, si sono messi di mezzo anche i saggi. Certo non si starà perdendo tempo, come autorevolmente ha rincuorato il capo dello Stato. Ma sarebbe rassicurante avere una prova del nove: che i politici andassero a spiegare la concretezza del loro agire (e quanto al centro di tutto ciò ci sia il bene comune) ai lavoratori della Star.
Parliamo di loro, perché sono le ultime vittime della crisi nel nostro territorio. E in un Paese che non è in grado di dare risposte a chi vede il suo lavoro prima vacillare, poi andare in frantumi.
Sarebbe interessante osservare tutti questi signori che sanno dilungarsi nei dibattiti televisivi - apparendo così persuasivi o almeno convinti di se stessi - spostarsi a Oltrona San Mamette. Entrare e incontrare gli ormai ex operai dell'azienda: spiegare perché i partiti ci stiano mettendo tanto a trovare la cosiddetta quadra per portare l'Italia fuori da una tempesta di cui si ama annunciare la fine nel corso di quest'anno.
Ma il problema è chi sarà rimasto a contemplare soddisfatto questa fine.
Era parso, durante la campagna elettorale, che la politica fosse distante in modo mai visto prima (e se n'erano viste tante) dal mondo reale. L'avevano esclamato imprenditori e sindacati, con uguale fervore, intimando di smetterla. Con le parole e quindi con le schede infilate furiosamente nelle urne, la richiesta era stata forte e chiara.
Eppure dobbiamo ammettere mestamente che il fondo non era stato toccato. Che il vuoto di quei confronti prima del voto era ostinato e destinato solo a crescere.
E questo strano concetto del tempo che vige nelle stanze della politica non riguarda solo la formazione del nuovo Governo. Basta vedere cos'è accaduto con i decreti che dovevano dare fiato all'economia. Partendo da quello sbloccacrediti, cruciale per le nostre imprese.
Attesa infinita, poi sembrava di averli quasi in mano, quei soldi dovuti dallo Stato alle aziende. Dovuti, va sottolineato, e mica elargiti per generosità. A dire il vero, fin da quando era stato dato il lieto annuncio con enfasi, sembrava dovesse cambiare il mondo. Non l'Italia, fanalino di coda anche su questo fronte. Adesso le speranze sono appese al weekend, a un ok che non può più essere rimandato. Non si può però soffocare la paura, perché il rinvio deve avere un sapore così dolce da quelle parti.
Avanti e indietro, senza alcun divertimento, anche su decisioni che sono scontate e doverose: non c'è fretta alcuna.
Ma siamo disposti a ricrederci, subito. Basta che dimostrino questo coraggio, i politici, i ministri di oggi e quelli che vogliono governare nelle prossime ore: entrare in un'azienda dismessa, che non ripartirà, a spiegare che stanno agendo con l'orologio giusto. Raccontarlo a un'altra che resiste, ma non sa più cosa fare senza i pagamenti che le spettano.
Oppure possono stare zitti e cambiarlo una volta per tutte, quell'orologio.
Marilena Lualdi
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