Di sicuro quel calcio nel sedere, benefico e pedagogico, mi allontanò per sempre dalle slot machine e dal gioco d'azzardo in generale. Ero scolaro di terza media di Asso e con alcuni dei compagni, evidentemente i più, diciamo così, svegli e attenti ai miti che via via si affacciavano, avevo preso a guardare con meraviglia quelle prime macchine tanto colorate e attraenti, di certo molto più rudimentali delle attuali, congegni per così dire "antidiluviani", meccanici con solo poche combinazioni vincenti ma che ugualmente mangiavano un sacco di soldi. Mentre aspettavamo il treno, entravamo al caffè dove funzionavano un paio di queste macchine venute direttamente dall'America. Lì mi beccò il professore di lettere mentre infilavo i gettoni nella slot e con una mano tiravo la leva, sperando che uscissero le combinazioni di tre stelle, o tre prugne, o tre monete d'oro e quindi la macchina si degnasse di elargire un premio. La vincita più generosa arrivava con la combinazione di tre monete d'oro. Era il giovedì santo, prima della Pasqua del '53: sessant'anni fa esatti.
Il "prof", che era piccolo di statura, esile, miope (mi ricordo che si chiamava Terraneo e che veniva da Arosio in treno), deve aver compiuto proprio un gesto atletico di grande portata per piazzare la pedata a un ragazzo come me che già era piuttosto alto. Mi guardò con sguardo terribilmente severo, dietro le lenti spesse, e ordinò con voce forte: «Non farlo mai più. Lo dirò a tua madre quando verrà per sapere come vai a scuola». Mi pare di ricordare che gli risposi che non avrei fatto mai più.
Il suo gesto acrobatico fu sicuramente un toccasana formidabile, un insegnamento preziosissimo, perchè ogni volta che mi sono avvicinato a una slot non ho mai ceduto alla tentazione di giocare, nemmeno a Campione d'Italia, quando per impegni di lavoro mi sono trovato tra un mare di slot luccicanti, pulsanti di luci, di rumori e gente che puntava freneticamente.
Mi ricordo ancora che la domenica di Pasqua mia madre era preoccupata perché io, camminando, non riuscivo a dissimulare una pur leggera zoppia, conseguenza del regalo pasquale del mio stupendo professore. Lo ritrovai anni dopo il professor Terraneo. Facevo già il cronista. Lo dovevo intervistare. Però prima gli dissi che lo volevo ringraziare. Lui mi chiese se la riconoscenza era perché aveva cercato di insegnarmi a scrivere. Gli risposi che lo ringraziavo per una preziosa pedata nel sedere di grande portata educativa che mi aveva dato tanto tempo addietro, quando ero un ragazzetto.
Emilio Magni
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