Ed è anche, come larga parte della nostra cinematografia, incomprensibile fuori dai confini nazionali, visto che solo lo snobismo di Cannes può appassionarsi ai contorcimenti di un microcosmo intellettualistico sbocciato tra le pieghe di questa curiosa repubblica delle banane. Però, è un regista profetico. Il lettore più acuto di quello che pulsa nelle corde riposte del mondo a cui appartiene. E questo pregio, dimostrato in tutti i suoi film, anche in quelli meno riusciti, supera di mille volte i difetti e lo rende un autore unico. Un autore di culto. Uno avanti. Nessuno ha sbugiardato i birignao dell'intellighenzia giovanilistica sinistrorsa come lui in Ecce Bombo, colto l'imminente disfacimento del comunismo in Palombella rossa, analizzato il peso immenso della responsabilità della fede non solo in Habemus Papam (premonizione della resa di Ratzinger) ma soprattutto in La messa è finita, suo vero e amarissimo capolavoro.
Ed è sempre Nanni Moretti ad aver azzeccato, una quindicina di anni fa, la chiave di lettura per rispondere alla domanda che mai come in questi giorni si sta ponendo qualsiasi persona intelligente, soprattutto se di sinistra: quando gli eredi del Pci hanno iniziato a diventare un partito patetico? Attenzione, questa non è una chiamata di correo - perché di singoli politici colti, accorti, onesti e capaci ce ne sono e ce ne sono stati parecchi nel lungo cammino che va dalla caduta del Muro a oggi - ma solo un'analisi oggettiva di quello che traspare da quell'universo.
Un bel pezzo di Iacopo Iacoboni sulla Stampa ricorda di come, nel 1997, in una scena di Aprile, Moretti avesse già capito tutto della mutazione antropologica del gruppo dirigente pidiessino e ulivista. Girando una scena sulle spiagge del Brindisino dove pochi giorni prima era affondata una nave carica di immigrati, Moretti aveva bollato con parole di fuoco l'assenza vergognosa di rappresentanti della sinistra, allora al governo, sul luogo della tragedia: "Io me li ricordo, negli anni Settanta, a Roma, la Fgci… i giovani comunisti romani stavano tutto il giorno a guardare Happy Days!!" e mentre lo dice fa il celebre gesto dei pollici alzati di Fonzie: "Questa è la loro formazione: politica, culturale, morale". Applausi. Un genio. Un gigante dell'analisi sociologica.
Questo, nel volgere di pochi anni, era diventata la sinistra italiana, che aveva come metafora il leader che più di tutti ne ha tratteggiato il profilo grottesco: Walter Veltroni. Quello che faceva l'amerikano anche se non sapeva l'inglese e pensava che la cultura a stelle e strisce non fosse espressa da Steinbeck, Hemingway o Scott Fitzgerald, ma invece da Potsie e Richie Cunningham e che credeva pure che bastasse un aneddoto di Gianni Minà su Cassius Clay e un amarcord con Fazio sulle partite a tappo e le figurine Panini per mettersi al passo coi tempi nuovi. Che pena.
E' questo il dramma della sinistra. Aver mollato, come ovvio dopo l'89, lo straordinario bagaglio culturale del Pci - dal quale chi scrive è lontano mille miglia, ma ha l'accortezza di capirne il valore storico - e di un sindacato che prima di andare a battagliare per i diritti pretendeva dai propri associati il rispetto dei doveri, mica come qualche ridicolo sindacalista forforoso di oggi che quando lo senti blaterare alla macchinetta del caffè di carichi di lavoro ti verrebbe voglia di prenderlo per le orecchie e spedirlo in miniera. E di averlo sostituito, quel bagaglio, con il nulla, specialità nella quale, come noto, la destra è invece imbattibile.
Dall'intellettuale gramsciano alle veltronate a Quelli che il calcio fino ai jeans e al giubbotto di pelle del furbissimo Matteo Renzi dalla De Filippi è tutto un piano inclinato che si commenta da sé. In mezzo ci sono un'infinita striscia di sconfitte elettorali e due risibili vittorie che sono servite a dimostrare come la sinistra perda sempre e come, quando vince, inizi subito a dilaniarsi per far cadere il proprio governo e riperdere subito dopo: il doppio Prodi sta lì a dimostrarlo. Arroganza, supponenza, superiorità antropologica rispetto al popolo bue che fa schifo e che non li capisce e che non li merita e non vuole elevarsi al loro livello e tutto il resto di quella psichiatria da prescelti cui Ettore Scola, nel 1980, non a caso l'anno dell'inizio del riflusso, diede forma memorabile con La terrazza, film oracolo se mai ce n'è mai stato uno.
Il flop elettorale del mese scorso e le surreali trattative di Bersani con gli ancor più surreali grillini sono figli di questa lunga discesa agli inferi di un mondo che, smarrita l'identità comunista, non è mai riuscito a crearsene una nuova, moderna e seria, cercando invece scorciatoie simil-liberali d'accatto e consegnandosi così al potere immanente dell'apparato che lo ha portato lontano dall'Italia reale: "Quelli lì sono solo capaci di inventare nuove tasse…". Con l'aggravante di aver così permesso il rigoglìo di un centrodestra altrettanto anomalo, felliniano, spesso banditesco e del tutto inadeguato al governo del Paese, ma almeno abile nel raccoglierne il consenso. È vero che Pdl e Lega sono impresentabili - quindici anni di governo stanno lì a dimostrarlo - e che i grillini fanno ridere sul loro pullman da gita a Livigno con vendita di pentole inclusa. Ma anche questo è colpa del collasso intellettuale del Pci.
"Le parole sono importanti", urlava Nanni Moretti in Palombella Rossa prima di schiaffeggiare la giornalista schierata e petulante. E aveva ragione. Le parole sono importanti. E questi qui - di sinistra e di destra - non ne conoscono più manco mezza.
Diego Minonzio
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