È lo stesso mondo che all'occasione scuote la testa di fronte alle vicissitudini, politiche soprattutto, del nostro Paese. Ed è la stessa Italia che di solito sembra arrancare, immusonita e sballottata.
Basta poco, spostarsi fino a Milano tra colori e design del Salone internazionale del Mobile, dove le aziende della Brianza sono tra le più acclamate. Dove ormai i loro giovani devono parlare tutte le lingue o guai, perché ogni continente li reclama. E chi ancora non lo fa, si deve svegliare in fretta: perché guardate i volti dei visitatori stranieri, rendetevi conto di quanti giovani abbiano responsabilità oltre confine e lottino con una grinta da far impallidire chiunque.
Si prova un certo timore a osservare questa differenza. Ma qui al Salone, abbiamo detto, troviamo sfumature che colorano la voglia di non lasciarsi andare al disfattismo che ci tenta ogni giorno. Vedere gli stranieri - quelli che all'occasione ci ricordano quanto siamo inaffidabili in altri campi - che osservano e desiderano ciò che produce la nostra Brianza, è una carica per chiunque.
Contemplarli mentre toccano i mobili, spalancano gli occhi, accorrono armati di telefonino o ipad per non lasciarsi sfuggire mezza immagine, rigenera davvero. E poi, molto più pragmaticamente, ecco che concludono affari, quegli affari di cui le nostre imprese hanno bisogno per non arrendersi in un momento in cui in Italia non si muove foglia e tanti non possono o non osano spendere.
Non è un caso che l'architetto Daniel Libeskind, ieri tra gli stand delle aziende al Salone, poche ore prima a Milano avesse usato parole sferzanti: «Tutto questo pessimismo generale non è corretto. Il design italiano è qualcosa che nessun Paese ha e che tutti vi invidiano». Di più, ha paragonato questo nostro saper creare a una malattia. Già, una malattia perché - ha assicurato - crea dipendenza e quando la assaggi, ne vuoi ancora.
I visitatori del Salone - specialmente quelli che vengono da lontano - possono sorridere quando seguono distrattamente la telenovela del governo italiano: si fa o non si fa, ma guarda che giochi.
Tuttavia, quando arrivano qui, al cospetto dei prodotti delle aziende brianzole, non si scorge più un loro sorriso, se non di meraviglia. Dimenticano tutto ciò che avevano letto o visto alla tv sulle stanze dei bottoni ingestibili all'italiana: qui vedono camere stupende, che dispiace abbandonare. Cucine dove ti piacerebbe sederti una vita e lasciare scorrere i gusti e le parole con il tempo. Uffici che si animano e raccontano che lì trascorriamo una parte fondamentale dell'esistenza, quindi bisogna cercare di addolcirla.
Forse, sono persino sfiorati dal dubbio che ci siano due Paesi. E magari è così davvero.
Cosa avverrà della nostra politica, sballottata dalle tempeste, è un libro dai fogli fragili e illeggibili. Ciò che accade ogni giorno nelle imprese brianzole, è concreto e non conforta solo gli occhi. Qui c'è una lotta quotidiana, che resta in sordina, perché di lamentarsi non si ha proprio voglia. Offre, piuttosto, alla vista le meraviglie che è stata capace di creare. E producendo mobili, costruisce speranza. Il bene di cui abbiamo più bisogno in questo periodo, credere che l'Italia va. Tanto più che ce lo gridano anche gli altri.
Marilena Lualdi
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