È il messaggio del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, che insiste sempre su un tema solo: riportare al centro la produzione di «cose» concrete, talvolta l'opposto della new economy, anche a costo - sbagliando - di sottovalutarla. C'è stato, al Lingotto, qualcosa che va oltre la pur significativa consonanza fra le parti sociali, su cui si può costruire l'intesa dei produttori, per produrre il «pugno sul tavolo» di cui ha parlato il leader della Cisl, Bonanni, tra gli applausi. E sollecitare, così, la soluzione di problemi urgenti, dall'urgente copertura della Cassa integrazione, allo sblocco degli investimenti, all'occupazione giovanile, tragedia morale prima che economica.
L'Italia è un Paese di imprenditori, numericamente il triplo della media europea, un'azienda ogni 10-12 abitanti: una realtà di massa. Non può non avere un effetto sulla situazione generale il grido di dolore dignitoso e costruttivo della rappresentanza di questo aziendalismo familiare, in cui capi e operai fanno squadra nella battaglia di sopravvivenza cui sono costretti. Il presidente dei «piccoli», Vincenzo Boccia, è stato un vero leader (Confindustria ne ha bisogno), per la chiarezza con cui ha costruito un'ammirevole sintesi fra protesta e proposta. Ai rischi di un atteggiamento distruttivo, corrispondente all'emotività di chi non sa dove sbattere la testa, ha contrapposto un inedito «minuto di silenzio» per riflettere su chi «continua a resistere con sforzi immani». Rispetto all'invettiva del «tutti a casa», gratificante in piazza ma disarmante nel mostrare ogni giorno di più (è l'unico vantaggio dei 48 giorni trascorsi dalle elezioni) la pochezza di chi poi riempie il vuoto lasciato da quella cacciata collettiva, Boccia ha fatto le domande giuste alla politica che verrà, se verrà. Sono i cinque punti della differenza drammatica tra l'Italia e i suoi competitori.
Il giorno stesso in cui i saggi hanno consegnato il loro compitino e alla vigilia di un sabato dedicato, a Roma come a Bari, alla difesa dei particolarismi di partito, Boccia è stato addirittura spietato. Come si fa ad essere competitivi se il «global tax rate» delle nostre imprese è 20 punti più alto di quello dei concorrenti, il costo dell'energia tra 30 e 40, il costo del lavoro è cresciuto in 15 anni del 30%, mentre con un debito al 130% le banche non ti danno credito (ma comprano titoli anti spread a comando e convenienza), il cuneo fiscale umilia le buste paga e le infrastrutture non fanno passi avanti? Boccia ha ricordato che è bene vivere di confronto, anziché morire di conflitto. Si riferiva ai sindacati, ma sarebbe perfettamente applicabile alla politica.
Beppe Facchetti
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