La notizia desta perplessità. Felicità e tristezza sono due condizioni inalienabili della libertà umana, della stessa condizione del vivere. Eliminare la tristezza, l'angoscia, il dolore, significa ridurre l'esperienza umana. La totale eliminazione della sofferenza, la ricerca e il progetto quasi ossessivo di realizzare anime felici, tentando di risolvere tutto da un punto di vista farmacologico, riduce, annulla l'uomo. Non è un problema medico, ma culturale. Viviamo in un mondo che non vuole più considerare alcuni aspetti fondamentali dell'esperienza umana, tra cui la sofferenza.
Eppure di questo non ci si preoccupa. Le statistiche più aggiornate dicono che nel mondo stiamo assistendo ad un uso massiccio di farmaci e al proliferare di pillole in grado di risolvere qualsiasi intoppo dell'esperienza umana. C'è la pasticca per tenere sotto controllo i bambini iperattivi, psicofarmaci che i genitori consegnano ai figli, non per patologie diagnosticate, ma solo per dare una risposta al disagio del vivere, pillole per la concentrazione e per aumentare le prestazioni intellettuali. C'è una risposta farmacologica per tutto. Ma è come se in tutto questo fosse fatto fuori l'uomo. E' stato così negli anni novanta, quando si pensò che la tossicodipendenza potesse essere curata con il metadone. Una sostanza al posto di una sostanza. Ciò che preoccupava non era tanto il disagio sociale di migliaia di ragazzi, il loro male di vivere, ma il disturbo sociale che quel disagio provocava. Si pensò così che la tossicodipendenza potesse essere tenuta sotto controllo. E così frotte di ragazzi si trovarono con in mano non una siringa, ma una boccetta di medicinale e nel cuore lo stesso dolore che non diminuiva.
Oggi proveranno anche e regalarci la possibilità di una finta felicità, annulleranno il dolore con una pasticca. Ma come si fa a non essere preoccupati rispetto a questa ostentata onnipotenza della farmacologia? Per togliere il dolore, occorre togliere la memoria alle persone. Ma se ad un uomo togli la memoria e come se gli togliessi l'identità. L'infelicità è il segnale che c'è qualcosa che non va nella vita, è qualcosa che ti provoca, è un aspetto fondamentale dell'esperienza umana. Toglierla, annullarla, vorrebbe dire anestetizzare la vita, rendere gli uomini meno uomini.
Non è il dolore a dover essere eliminato ma la condizione di solitudine in cui molti si trovano a vivere il dolore.
Leon Kass, medico e biologo americano, avverte: «La felicità del Mondo Nuovo è una pseudo felicità ottenuta con gli psicofarmaci. Ma la loro umanità è spenta: niente amicizie o amori, nessuna arte o scienza». Nell'aspirazione ad avere uomini felici e soddisfatti ricorrendo alla farmacologia, c'è il drammatico rischio di trasformarci in qualcosa di diverso da ciò che siamo. Di ridurre l'esperienza umana soltanto a ciò che produce felicità, a ciò che ci piace e ci soddisfa. Dimenticandosi che un uomo che ha il cuore colmo di dolore, non ha bisogno di una pasticca, ma di incontrare qualcuno che gli faccia compagnia e lo aiuti ad attraversare un'inevitabile condizione dell'esperienza umana.
Massimo Romanò
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