La rielezione del Presidente Napolitano e la dissoluzione del Partito Democratico rappresentano, in modo clamoroso e inaspettato, la straordinaria gravità dell'attuale fase politica. Ormai è chiaro che siamo nel pieno di una crisi istituzionale di cui, allo stato, non è possibile intravederne gli esiti.
Il cittadino assiste stupefatto alla capitolazione di un'intera classe politica che si ingegna con ogni mezzo di allungare la propria sopravvivenza anche a costo di prolungare l'agonia di un paese che ha smarrito ogni certezza.
Il nostro paese vive da tempo l'angoscia di una povertà che, dopo aver falcidiato le fasce più deboli, incombe minacciosamente anche sui ceti medi. A causa della sciagurata latitanza della politica, stiamo assistendo impotenti agli effetti devastanti di una recessione che sta mettendo in ginocchio le famiglie e le imprese. Si tratta di una vera e propria crisi di sistema all'interno della quale finisce per non avere più senso la tradizionale distinzione tra destra e sinistra. La sinistra ha sempre accusato il berlusconismo di rappresentare una versione caricaturale della destra europea a causa del ruolo debordante e demiurgico del Cavaliere: un partito "di plastica", congenitamente incapace di approdare ad una visione liberale dello Stato.
A sua volta, la destra ha sempre imputato alla sinistra quella cultura statalista che costituisce il lascito di una ideologia che, nella competizione capitalistica tra fattori, ha storicamente osteggiato il capitale per proteggere e favorire solo il lavoro. Per diversi decenni la dialettica politica nel nostro paese ha trovato in questi temi il grande pretesto (meglio, la Grande Menzogna) per simulare una diversità tra i due schieramenti di cui le ultime vicende hanno disvelato la totale inattendibilità. Dobbiamo prendere atto che, col passare del tempo, Pd e Pdl hanno subito una metamorfosi che ha finito per rendere evanescenti, e sempre meno intelligibili, le differenze identitarie tra destra e sinistra. La vera discriminante tra i due schieramenti verteva, infatti, solo sulla diversità dei due modelli organizzativi legata esclusivamente alla presenza di Berlusconi, unica, vera anomalia all'interno di un campo che vedeva i due antagonisti sempre più somiglianti nelle modalità distributive del potere all'interno dei rispettivi apparati.
La struttura oligarchica del Pd e quella monarchica del Pdl rappresentavano, in fin dei conti, due facce della stessa medaglia. Fino a quando il paese ha potuto vivere con agiata spensieratezza, il sistema politico è stato in grado di occultare questa colossale finzione. Poi, però, la crisi economica ha finito per provocarne quella lenta decomposizione da cui sono scaturite le vicende degli ultimi giorni. Siamo ormai ad una svolta.
Spazzato via il vecchio gruppo dirigente del Pd, anche il Cavaliere potrebbe decidere di farsi da parte. Non è neppure da escludere che, sentendosi sufficientemente garantito da Matteo Renzi, Berlusconi possa perfino offrirgli una vittima sacrificale al fine di simulare una competizione che sarebbe il "paso de adiòs" del Cavaliere. Piaccia o meno, la storia del nostro paese è sempre stata un costante avvicendamento tra élite e non si può dare torto a Pareto quando diceva che, in fin dei conti, la storia è solo "un cimitero di aristocrazie.
Antonio Dostuni
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