Certo, in questi giorni è fin troppo evidente la tentazione di cedere all'anti-politica. Ma il delitto nei confronti del lavoro autonomo nelle ultime travagliate settimane. La prima coltellata alle spalle risale a vent'anni fa, alla fase di transizione tra prima e seconda repubblica. Già perché lo straordinario successo elettorale del centrodestra, di Silvio Berlusconi in particolare, si alimentò, anzi, ebbe come vero e proprio mito di riferimento, l'idea di dare vita anche in un Paese come il nostro, a una "rivoluzione liberale" mettendo al primo posto nell'agenda di governo due concetti fondamentali: merito e libera iniziativa.
Parlarne oggi fa sorridere ma Berlusconi è stato allora percepito come una figura nuova, quasi indispensabile al cambiamento e il grande consenso raccolto si alimentò, in grande parte, anche delle attese emergenti da una nuova tipologia di lavoro autonomo.
L'Italia usciva dalle grandi fabbriche e apriva la partita Iva. Per il centrosinistra italiano - allora e in buona parte anche oggi - un'orda di evasori fiscali. Un esercito di ignoranti, pericoloso motore di egoismo sociale.
Per il centrodestra riaggregato allora da Berlusconi quel popolo era un naturale riferimento e non a caso è stato in quegli anni Giulio Tremonti a quantificare e a dare una vera consistenza politica ai nuovi autonomi, ai micro-imprenditori, a fare sentire entrambi come centrali nella formazione degli equilibri socioeconomici del Paese.
L'Italia prefigurata allora, nel 1994, non si è realizzata. Anzi, peggio, ciò che si è configurato nei due decenni successivi - con la nota alternanza tra centrodestra e centrosinistra - è stato un ciclo di colpi mortali alla libera iniziativa. Il cui esito, oggi, è un micidiale mix tra una pressione fiscale record e un sistema oppressivo di vincoli e norme che non hanno paragoni al mondo.
Con la crisi degli ultimi anni è infine parzialmente cambiata la stessa natura del lavoro autonomo. Oggi, accanto ai piccoli imprenditori brianzoli, ci sono giovani che hanno aperto la partita Iva perché non hanno alternative per stare sul mercato del lavoro. Si tratta quindi di un popolo più articolato, gli uni accanto agli altri stanno artigiani del made in Cantù e giovani spesso poco professionalizzati, costretti a inventarsi un'attività magari in virtù di lauree leggere. Come quelle che a Carugo - la notizia è della scorsa settimana - erano sui curricula presentati da tanti ragazzi per un posto in biblioteca da 300 euro al mese.
Dal rischio come proprio credo ideologico si è passati alla richiesta di tutele e rappresentanza sindacale. Molti hanno guardato con speranza alla riforma Fornero. Invano perché, come ha detto varie volte lo stesso ministro, per dare maggiore protezione sociale a chi oggi ne è privo. Occorrono due condizioni di base. Un'economia in crescita e tempi lunghi.
Enrico Marletta
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