Perlomeno il nipote dell'eminenza azzurrina Gianni, nonché allievo (come Prodi) di Beniamino Andreatta, era ancora una ragazzo di 26 anni in quel 1992 in cui il Dottor Sottile inaugurava il famoso governo del prelievo forzoso sui conti correnti bancari. Suggestivo è l'approdo al potere dell'esponente di una generazione troppo giovane per vivere molti dei grandi eventi del secolo breve, il Novecento, e che, invece si è dovuta far carico di tutte le crisi degli ultimi anni. Se la premiership di Enrico Letta fosse giunta in una fase politica meno anomala e soprattutto non di così basso impero, sarebbe stato bello vedere come l'avrebbe interpretata. Invece il giovane saggio che dovrà procedere nei binari del programma elaborato dagli altri saggi più attempati, è ben consapevole delle dosi di piombo che saranno caricate sulle sue ali dai partiti di quella che sarà comunque una strana maggioranza. A cominciare dal suo di partito. Napolitano, infatti, ha scelto Enrico Letta anche perché, dopo il cupio dissolvi della leadership di Pierluigi Bersani e l'astuta uscita di scena di Matteo Renzi (sembrava ci fosse cascato, invece se l'è data a gambe a cavallo del Cavaliere), rappresenta la massima espressione di quel che resta del Pd.
In questo modo, il presidente della Repubblica ha compiuto l'unico tentativo possibile per responsabilizzare un partito debole, lacerato e senza bussola nell'azione di governo. Il che è comunque una bella scommessa.
Le mine sul cammino di Letta sono infatti comparse prima ancora del viatico quirinalizio e subito dopo la sceneggiata degli applausi pelosi al cazziatone urbi et orbi rifilato da Napolitano alle forze politiche nel giorno dell'insediamento bis. Appena terminata la reprimenda, ciascuno ha ripreso a disfare la tela. Il Pd con la sua balcanizzazione, il Pdl con la tattica di apparecchiare un governo il più elettorale possibile a beneficio del suo sempiterno leader, Silvio Berlusconi.
Con questo infantilismo del ceto politico, si comprende come la strada che il capo dello Stato ha tracciato per Letta sia piena di curve e tornanti. L'agenda ha già rallentato: sembrava che il nuovo esecutivo dovesse giurare oggi per ricevere domani la fiducia delle Camere. Invece il 25 aprile di Enrico Letta non sarà di liberazione dai partiti, con cui si consulterà per tentare di creare le condizioni di un governo con la massima condivisione. Magari anche con il sostegno della Lega, visto che il premier incaricato, oltre che l'alternativa allo sgradito (da Maroni), Giuliano Amato, è anche uno dei politici del centrosinistra più sensibili alla cosiddetta questione settentrionale. Lo ha dimostrato durante l'esperienza ministeriale come titolare dell'Industria, del Commercio dell'Artigianato nel governo guidato da Massimo D'Alema, così come in altre tappe della sua vita politica.
Letta poi dovrà fare i conti con un'opposizione grillina che sembra ormai aver sposato la piazza a scapito delle istituzioni. Resta da capire se i primi segnali di declino elettorale porteranno l'ex comico a cambiare idea o se invece radicalizzeranno la sua strategia.
Le scelte della squadra dei ministri (e il loro numero) saranno la prima cartina di tornasole per le prospettive del nuovo governo.
Francesco Angelini
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