Appena c'è una società che cerca personale, i curriculum dalle nostre terre partono più veloci della luce verso la Svizzera. Come il caso di Splash a Monteceneri, dove sono arrivate 4.600 candidature per 60 posti.
Ma se vogliamo andare oltre lo stupore o la lamentela, forse possiamo partire proprio da quest'ultimo esempio per cogliere un messaggio. Sommersa dalle mail, l'azienda elvetica ha provato di rispondere a tutti. Solo di fronte alla quantità eccezionale ha spiegato che forse non sarà possibile essere puntuale.
Riattraversiamo il confine e dentro di noi risuona il grido lanciato poche settimane fa dai nostri giovani senza lavoro: le mail inviate alle imprese italiane finiscono nel dimenticatoio. Nessun riscontro, nessun cenno di aver almeno letto o preso in considerazione.
Due mentalità, due modi differenti di comportarsi separati da una pur labile frontiera. Il che ci deve indurre a riflettere.
Va bene stracciarsi le vesti perché le aziende si trasferiscono in Svizzera, schiacciate da burocrazia e fisco di casa nostra. Ottimo invocare provvedimenti a Roma perché le normative riguardanti il lavoro non siano una gabbia che scoraggi gli imprenditori intenzionati ad assumere persino in periodo di crisi.
Il modello svizzero, da molti punti di vista, è da copiare. Ma forse possiamo cominciare a farlo nei nostri territori con piccoli gesti in grado di cominciare a tracciare un cambiamento. Chi vuole muovere il mondo, prima muova se stesso: la saggezza socratica può valere in tutti i campi, economia compresa.
Ci colpisce la società ticinese che si sente in dovere di scusarsi perché è costretta a rallentare nelle risposte dei candidati. Invece di meravigliarci e archiviare il caso tra i sospiri, è un modello virtuoso che possiamo cercare di diffondere. In questo, molti nostri imprenditori hanno riconosciuto che bisogna cambiare.
Una rivoluzione, graduale e silenziosa, è possibile e a piccoli passi l'esempio svizzero diventerebbe meno irraggiungibile ai nostri occhi. Stiamo parlando dei vicini di casa, mica di alieni catapultati da un altro pianeta: un popolo con il quale condividiamo molto, più di quanto - entrambi forse - siamo disposti ad ammettere.
Il bene si può imitare, esattamente come il male. E che il contagio virtuoso sia più lento rispetto a quello opposto, è in fondo un mito da sfatare. I bambini che hanno seguito lezioni sulla raccolta differenziata a scuola, sono i primi a riportare all'ordine i grandi. Così un papà prima disattento si guarda bene dal gettare una cartaccia per terra, di fronte al suo ragazzino con maggiore sensibilità ecologica.
Il meccanismo non è diverso. Inutile negarlo, restano i nodi irrisolti, a partire dalla burocrazia opprimente e dalla pressione fiscale. Ma siamo certi che i nostri Comuni abbiamo davvero chance uguali a zero per attrarre le aziende, come accade in Ticino? Il patto di stabilità soffoca gli enti locali, tuttavia non deve diventare un alibi: un margine d'azione c'è, seppur limitato.
Un minuscolo gesto in stile elvetico oggi, una decisione coraggiosa di quelle che non fanno rumore (ma la differenza sì) domani e forse ci potremo scoprire un po' più svizzeri. Insinuando in loro la voglia di imitare noi, popolo creativo anche nel trovare vie d'uscita alle sbarre calate da un sistema ingessato come quello italiano.
Marilena Lualdi
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