Ma in tempi di crisi pare che l'ottimismo a tutto tondo sia stato bandito e così, nella migliore tradizione della politica del bastone e della carota, anche il positivo annuncio dello sblocco dei crediti è accompagnato dall'altra faccia della sua stessa medaglia.
Proviamo a ripercorrere l'esile filo sul quale i privati in affari con la pubblica amministrazione sono costretti a esercitare doti non comuni di equilibrismo. L'impresa "x" esegue dei lavori per l'amministrazione provinciale; al termine presenta il conto e chiede il pagamento di quanto dovuto. La Provincia cerca i fondi nelle proprie casse e non li trova e annuncia a "x" di attendere pazientemente. Prima o poi...
Passano i mesi ed "x" - che magari vanta invano crediti anche nei confronti di altri enti pubblici - si ritrova in difficoltà: in tempi di crisi può capitare. Senza soldi in molti si barcamenano come possono. E magari si ritrovano a dover fare delle scelte: pagare le tasse o usare i soldi per non bloccare la produzione. Certo, si potrà obiettare, c'è anche chi se ne approfitta e ci sono gli evasori abituali: ma questa è un'altra storia - o, almeno, un'altra faccia della storia - sulla quale questo giornale non ha mai fatto sconti.
Ora, finalmente, "x" vede la luce in fondo al tunnel: la Provincia paga. I soldi tanto attesi, benzina in tempi di magra e di serbatoi vuoti, stanno per arrivare. E invece no: perché la precedenza va a Equitalia. Chi ha debiti nei confronti del Fisco - indipendentemente dai motivi per i quali ci si è ritrovati a non ottemperare ai pagamenti richiesti - rischia così di non vedere nulla. Lo Stato con la mano destra ti dà e con la sinistra ti leva (o viceversa, a seconda dei gusti).
Certo, un po' di autocritica gli italiani sarebbe il caso che la facciano. E, oltre ad arrabbiarsi con il banco che ha truccato la roulette, rivolgano le loro ire anche nei confronti di chi ha portato lo Stato ad atteggiarsi da padrone: gli evasori fiscali. I tanti, troppi italiani che dichiarano redditi da soglia della povertà mentre escono dal garage alla guida di una Bentley o di un Cayenne. È grazie a ladri di questa risma, oltre che a politiche di sprechi e di sperperi, che la pressione fiscale si è alzata fino a livelli insopportabili e che ogni debitore dello Stato viene ora considerato colpevole a prescindere.
Esaurita l'autocritica, però, va detto che uno Stato che sa essere comunità e che funziona e che non veleggia verso il baratro con la musica dell'orchestrina del Titanic nelle cuffie dell'iPod, dovrebbe saper distinguere tra chi è in difficoltà e chi è solo furbo. E rendersi conto che il giochino della roulette truccata diventa, giusto o sbagliato che sia, una giustificazione per ammantare l'evasione come un merito.
L'applicazione aritmetica e burocratica delle norme agevola, da un lato, chi è abile a truccare i conti, dall'altro danneggia - soprattutto in un periodo di crisi - chi per lo Stato ha lavorato e da quello stesso Stato non è stato mai pagato. Le aziende hanno bisogno di un orizzonte sul quale investire. Un orizzonte che non sia costantemente oscurato da un muro di burocratica miopia.
Paolo Moretti
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