In realtà in questa partita si gioca anche il profilo dell' esecutivo che i democratici vorrebbero «di scopo» e i berlusconiani come «politico»: l'ingresso di personalità di peso del Pd (come Massimo D'Alema o Giuliano Amato) chiama automaticamente di rimbalzo l'impegno di uomini di prima fila del Pdl (come Renato Brunetta o Renato Schifani) e rischia di dare corpo a quel «governissimo» che l'ala sinistra democrat non intende accettare.
Silvio Berlusconi perciò ha detto di puntare su giovani e donne, escludendo se stesso da qualsiasi incarico. Nel Pd invece non c'è nessuno in grado di imporre un analogo passo indietro ai pesi massimi. Ciò spiega perchè Napolitano si sia impegnato in prima persona nell'agevolare la soluzione del rebus suggerendo di ingaggiare alcuni dei «saggi» (Gallo, Mauro, Quagliariello e Violante) ma non escludendo nemmeno di poter inviare comunque alle Camere il governo Letta, accordo o non accordo sulla lista dei ministri.
L'incontro di Letta al Quirinale è stato particolarmente lungo a testimonianza delle difficoltà del negoziato, in parte fisiologiche se si guarda al recente passato. Il «governo di servizio», come preferisce definirlo il premier incaricato, sarà soprattutto un «governo del buon senso»: punterà innanzitutto a risolvere i problemi più pressanti della crisi economica (disoccupazione, esodati, cassa integrazione in deroga e giovani) secondo una scaletta di interventi che hanno già messo in qualche difficoltà i 5 stelle sul terreno della concretezza.
Ma certo del programma dovrà far parte anche la diminuzione dell'Imu: un punto che Brunetta ha definito «determinante» perchè mette in gioco la credibilità del Pdl di fronte al suo elettorato. E poi ci sono le garanzie chieste dal Cavaliere contro il rischio delle geometrie variabili sui temi della giustizia.
Ciò naturalmente aumenta le difficoltà dei democratici. Il partito è nel pieno marasma: i bersaniani (Roberto Speranza e Alessandra Moretti) sono convinti che il partito sarà compatto sul voto di fiducia, ma la polemica è sull'atteggiamento degli oppositori interni. Cesare Damiano della sinistra rivendica il diritto al dissenso e Pippo Civati ritiene che i contrari alla fiducia siano almeno una cinquantina sebbene solo la metà sia pronta a votare contro. Matteo Renzi tenta di sdrammatizzare la questione invitando tutti ad ascoltare almeno che cosa Letta dirà alle Camere prima di giudicare. Ma il sindaco di Firenze ammette che se qualcuno non vota la fiducia «sarà un problemino».
Pierfrancesco Frerè
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