Tentato omicidio plurimo premeditato, lesioni personali, ricettazione di arma clandestina, porto abusivo della stessa arma: un'azione criminale pianificata, che, secondo quanto è trapelato dalle dichiarazioni rese ai pubblici ministeri di Roma, voleva colpire «i politici».
L'autore di un delitto, anche quando l'azione è semplice e impetuosa - e, ovviamente, quando è organizzata, come in questo caso - compie un calcolo.
È prevedibile che su questo non ci saranno dichiarazioni del tentato pluriomicida, che per ovvie ragioni difensive vorrà farsi passare per disperato.
Ma perché per lui era "interessante" ferire o uccidere un componente del governo, un parlamentare, o in mancanza, un qualsiasi appartenente alle istituzioni, correndo un rischio così alto?
La risposta non sta nella disperazione, che produce una rassegnata inazione o un atto autolesivo; semmai nella paradossale speranza che l'invettiva, l'affronto, l'insulto producano un effetto positivo, educativo, correttivo.
Anche nella forma estrema, quella diretta contro la vita.
Produrre paura per influire sulle scelte politiche. Entro certi limiti è ancora politica: "politici" siete circondati, siete morti, abbiate paura. Poi raggiunge i limiti: "politici" marceremo su Roma, abbiate paura. Poi li supera: Franceschini, "politico", ti aggredisco al ristorante, abbi paura. E metto tutto su Internet, perché la minaccia sia più seria.
Poi diventa scelta terroristica: colpiscine uno per educarne cento.
Si può ipotizzare che tra internettismo politico e tentato omicidio di Palazzo Chigi non ci sia un rapporto causa-effetto: ma che entrambi siano effetto di un individualismo patologico di cui la Rete è amplificatore.
La violenza verbale e la diffamazione che imperversano impunite sui social network triturano qualsiasi elemento di coesione sociale, a partire alle istituzioni.
Il "gruppo per Luigi Preiti" sta raccogliendo migliaia di adesioni su Facebook.
È impensabile, in questo contesto "futurista" e violento, tentare una narrazione sobria.
Ci sarà sempre "uno" che urlerà contro "i politici", senza distinguere tra i molti galantuomini e i pochi indegni. Uno a cui si accoderanno i "mi piace" degli anonimi zero: e uno, come scrisse Trilussa, «cresce de potenza e de valore / più so' li zeri che je vanno appresso».
Ma gli "zero", che un tempo potevano diventare "uno" grazie al lavoro, allo studio, alle sezioni dei partiti, alla parrocchia, all'appartenenza a una vera comunità, rimangono schiacciati su un impotente eterno presente, risolvendo la loro frustrazione in un insulto o in un "clic". "Uno" di loro ha cliccato su una calibro 7,65.
Giuseppe Battarino
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