La minoranza di Lomazzo che ha avanzato la richiesta al primo cittadino c'entra fino a un certo punto. Perché il vezzo di buttare il bambino con l'acqua sporca è quantomai diffuso.
Il problema del finanziamento della politica è serio e va affrontato. Una riforma è ineludibile.
Lo ha promesso Enrico Letta, così come lo avevano fatto Mario Monti e altri predecessori dell'attuale presidente del Consiglio. Oltre le promesse però non si è fatta molta strada. Al di là, appunto, della facile demagogia. Perché abolire i finanziamenti alla politica è un autogol della democrazia. Significa ritornare all'elezione per censo. Solo i ricchi potrebbero permettersi avventure istituzionali come avveniva più di un secolo fa.
Cambiare il sistema di foraggiamento dei partiti, dei rimborsi elettorali utilizzati per comprarsi lauree, auto di lusso, ville e yacht ovviamente va fatto.
Ma partire dalle indennità dei sindaci è sbagliato. Caso mai andrebbero aumentati i compensi di chi è alla guida delle amministrazioni locali. Perché si tratta di figure istituzionali che hanno responsabilità penali, civili e operative molto più gravose di coloro che siedono in Parlamento o nei Consigli regionali e possono anche limitarsi, durante l'intero mandato, a premere il pulsante del voto elettronico o anche a rimanere a casa. Un sindaco no: è sempre costretto a vivere in prima linea, ha i cittadini che, giustamente, gli tirano la giacchetta. Deve mandare avanti una macchina complessa com'è anche quella di un piccolo Comune. E risponde in prima persona, anche dal punto di vista penale, di qualunque cosa accada nel territorio che è chiamato ad amministrare. Ci sono stati anche sindaci che si sono arricchiti. Ma non con lo stipendio e non se hanno operato con onestà.
Fare il sindaco, anche di un centro medio o piccolo, è un lavoro a tempo pieno. Ed è del tutto sottopagato. Mario Lucini, primo cittadino di Como che, come il collega Rusconi di Lomazzo, aveva opposto un rifiuto alla richiesta di tagliarsi il compenso, porta a casa poco più di 4.000 euro lordi al mese. È a capo di un'azienda che impiega circa un migliaio di persone e gestisce un bilancio vicino ai novanta milioni di euro. Quale manager privato accetterebbe un contratto a questo condizioni? I sindaci poi devono anche farsi eleggere, conquistando voto su voto. Un disturbo che, con il Porcellum, è risparmiato ai Parlamentari. Così si genera il paradosso per cui un peones inserito in un posto buono nella lista di partito si ritrova a Roma a fare la pallina nell'urna con un compenso che tra stipendio, indennità e bonus supera i 15mila euro al mese.
Sarebbero queste le vere battaglia da condurre contro la Casta in favore dei cittadini. Anche dei primi. Abbassare gli stipendi dei parlamentari e aumentare quelli dei sindaci. Ma è meno faticoso buttarsi sulla demagogia.
Francesco Angelini
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