In questi mesi di colpi di scena politici, economici e sociali, forse ha davvero scosso gli animi una sola domanda, una tra le poche domande che contano: «Perché i bambini muoiono? ».
Questo giornale l'ha posta più volte accanto alla cronaca su piccole e giovani vite fatte spirito e nei giorni scorsi ha riportato le parole della mamma di Giacomo, il bambino di 9 anni di Tavernola, da domenica creatura di luce.
«La vita di Giacomo è nelle mani di Dio», ha detto mamma Ilaria. È obbligata a crederlo l'interminabile schiera di madri che portano per sempre un figlio nel cuore e gli parlano davanti ad una fotografia che ha forma di croce. Questo non è un dolore. È il dolore, fisso, immutabile, nessun altro è uguale, è il grido che scorre nei giorni e nel sangue, è la nostalgia che si fa pietra sul cammino.
E può affidarsi solo al pensiero che Dio abbia preso tra le Sue braccia i figli perduti: «Dove vuoi che sia, tuo figlio, se non tra le braccia di Dio? Fidati», ha risposto Carlo Maria Martini ad una madre che ogni notte mandava verso le stelle un bacio, lo stesso con il quale aveva sfiorato il suo bambino, nel primo mattino e nell'ultima sera. Poiché considerava il Cardinale uno dei più grandi teologi, la donna aveva insistito per avere da lui una parola, anche una sola, ma netta e l'ottenne. Non era che una conferma delle Scritture: dopo questa vita, non c'è più il male, non c'è più la morte e le cose di prima sono passate, sono belle, nuove ed eterne.
Un giorno, sarà tutto chiaro. Un giorno, come dice Ermanno Olmi, sarà Dio a doversi giustificare per la sofferenza umana e a chiedere perdono per il pianto che ha preso il posto di tutto ciò che poteva essere e non è stato.
Ma intanto, per le madri, tutto si riduce a quell'assenza, alla stanza vuota, alla scatola dei ricordi che diventano strazio: tutto l'essere di una madre è dentro un legno chiuso in un sepolcro e nessun angelo, in nessuna alba, srotola il sasso. Non può far più niente per quel figlio la madre che avrebbe dato per lui più della sua stessa esistenza, la madre che, come tutte, chiedeva a Dio una sola cosa: «Fa' che mio figlio viva», perché è contronatura che siano le madri a pregare sulla tomba di un figlio. Ma i figli non sono lì, sono spiriti liberi, mentre le madri sono prigioniere, costrette a vivere anche per loro.
Dio sta in silenzio. Gli uomini stanno in silenzio. Sanno tutto sulla scissione dell'atomo, sul funzionamento delle macchine, sulle relazioni con l'angolo più sperduto del mondo e non sanno dir nulla ad una donna che chiama un nome e sente solo l'eco della propria voce che rimbalza dal cielo. Sono state risolte guerre, crisi, enigmi e misteri, tutto tranne uno, l'unico che pesa; affiora la soluzione per ogni problema, ma è rimasto l'interrogativo: che cosa se ne fa Dio di tanto dolore, raccolto senza una logica, qua e là.
Non c'è risposta. C'è solo d'aver fede che la vita tolta sia trasformata e che le lacrime di chi resta diventino benedizioni. Ma le domande come quella sopra consolano le madri, non si sentono sole. Sentono qualcuno accanto che condivide, che alza le mani in preghiera con loro.
Sarà abbastanza.
Maria Castelli
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