Lavoravamo in tre, per lo più attraverso telefono e fax: Gabriele Benincasa, avvocato di professione e editore "per hobby", suo figlio Giovanni, regista e produttore televisivo, e, a partire da una certa data, io. Si cominciava con il mettere giù una rosa di nomi di scrittori, se ne sceglieva uno, lo si contattava per proporgli di offrirci un suo racconto da pubblicare in cambio di cinquanta copie della plaquette - proposta che trovava per lo più pronta accoglienza perché l'apparizione nella collana natalizia dei Benincasa era considerata molto nobilitante - e si aspettava. Si aspettava pazientemente fino alla fine di agosto e poi si andava alla carica per sollecitare la consegna del testo. Arrivato il quale, in ottobre cominciava la fase di stampa, che era lunga e complessa perché l'avvocato Benincasa era incontentabile: aspirava alla perfezione e la raggiungeva.
A metà novembre la plaquette era pronta per essere spedita agli amici. Quelli che non la ricevevano, a metà dicembre, telefonavano a Benincasa per chiedere come mai quell'anno non avesse fatto la solita plaquette e Benincasa, che non avrebbe mai dimenticato un nome ma che accanto a ogni destinatario segnava sempre quelli che non l'avevano ringraziato per l'invio, rispondeva loro: «L'anno passato non mi hai ringraziato: ho pensato che non ti facesse piacere riceverla, così...».
Un anno, per il Natale del 1997 il nostro piccolo comitato editoriale pensò di interrompere la serie degli scrittori di professione e cercare di avere il testo di qualcuno che non rientrasse d'ufficio nella categoria degli addetti ai lavori. «Anche un politico?». «Sì, perché no?». «Un politico divide: non è un autore "natalizio"». «Però un politico è sempre un politico».
A questo punto è venuto fuori il nome di Giulio Andreotti. Una cosa naturale, un'idea nata lì per lì o, forse, qualcosa che frullava da tempo nella testa di Gabriele e che l'aveva indotto a suggerire di scegliere per quest'anno un autore fuori serie? Mah.
«Perché no Andreotti?».
A me sono venuti in mente, si licet etc., Manzoni e Napoleone. Ricordi di scuola. «Lui folgorante in solio/ vide il mio genio e tacque». Finché Giulio è stato quello che è stato - «folgorante in solio», appunto -, Gabriele non avrebbe mai pensato di chiedergli di scrivere qualcosa per la sua collana natalizia: figurarsi. Ora, però, si poteva forse chiedergli di scrivere qualcosa sul Natale: sui suoi Natali. Anzi, era giusto chiederglielo. Era testimoniare a tutti il senso profondo di una stima e di un rispetto che non erano mai venuti meno.
Benincasa gli ha telefonato a fine agosto. Che cosa si siano detti non lo so. Andreotti, a ogni buon conto, ha accettato.
La scadenza è stata fissata per la fine di ottobre. Puntuale, la lettera a mano che accompagna il dattiloscritto porta la data del 23 ottobre. Questione di carattere.
E i testi di Giulio Andreotti eccoli qua: nove brevi "appunti", sì, "appunti", come Andreotti volle intitolarli. Oggi, che Gabriele Benincasa e Giulio Andreotti non ci sono più, oggi come allora li pubblico senza troppi commenti. Due cose però voglio dirle.
In primo luogo voglio dire che mi è piaciuta la scelta dell'autore di costruire il testo non nella forma narrativa del raccontino, come di solito si tende a fare, ma nella forma, del resto a lui cara, del diario. Ne risultano tanti flash sui Natali passati: ogni flash un Natale, ogni Natale uno scorcio di vita, ogni scorcio di vita un preciso momento sociale e politico della nostra storia, ogni momento sociale e politico uno stato d'animo. Visto da vicino, visto attraverso le emozioni che hanno caratterizzato i suoi tanti Natali, Andreotti ci guadagna.
In secondo luogo voglio segnalare l'ultimo di questi flash. Quello relativo al 1993, «il suo primo anno da inquisito». Perché? Perché mi sembra spiegare da solo il senso e il valore della presenza del suo autore, quest'anno 1977 che lo vede tuttora sub iudice, in questa collana e poi anche perché. Ma questo capitelo da voi.
Federico Roncoroni
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