Sta di fatto che il PdL dice: non faremo cadere il governo solo perché Berlusconi è stato condannato:in fondo c'è ancora la Cassazione (dove da ieri siede sullo scranno più alto Giorgio Santacroce, magistrato romano di grande autorevolezza ma sicuramente non ostile al centrodestra) e c'è anche la possibilità della prescrizione: un orizzonte temporale di almeno un anno. Però da Palazzo Grazioli non arrivano segnali di vera guerra. Piuttosto questa stessa prudenza del Cavaliere fa pensare alla non volontà di andare a sbattere contro Napolitano e la sua creatura politica, confermando una linea di ostentata responsabilità. Chissà se dietro questa cautela c'è la richiesta di "salvacondotto giudiziario" che per alcuni si potrebbe concretizzare nella nomina di Berlusconi a senatore a vita. Napolitano per ora non dà segni di volersi muovere.
Non c'è però, a preoccupare Napolitano e Letta, solo il versante berlusconiano. No, c'è anche il tormentato campo democratico: oggi nessuno è in grado di controllare davvero un partito acefalo, devastato da lotte intestine, sull'orlo della scissione. Non è un mistero che buona parte dei parlamentari voterebbe volentieri contro il governo anche se presieduto dal vicesegretario Letta (Pippo Civati lo dice apertamente) perché trova intollerabile la coabitazione con gli avversari. Ciò che è accaduto intorno alla candidatura di Francesco Nitto Palma alla presidenza della Commissione Giustizia è la riprova del fatto che buona parte dei parlamentari tende ad infischiarsene dei patti e va per conto proprio. «Quando è troppo è troppo» è la frase che si sente ripetere di più tra deputati e senatori del Pd che magari preferirebbero tornare a votare pur sapendo che le urne relegherebbero il centrosinistra al terzo posto. Conclusione: da una parte c'è un Berlusconi sostanzialmente indebolito dalle vicende giudiziarie; dall'altra c'è un partito nel marasma. Cosa riuscirà a combinare Enrico Letta? Dovrà davvero far appello a tutta la sua democristianeria per «tirare avanti» che, come avrebbe detto Andreotti, "è pur sempre meglio che tirare le cuoia».
Andrea Ferrari
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