La nostra testimonianza, la nostra certezza che "la vita di Giacomo è nelle mani di Dio" ha fornito uno spunto per la descrizione di un baratro nel quale "Dio sta in silenzio", totalmente impotente di fronte al dolore crudele e assurdo. Conosciamo bene questo baratro, tante volte siamo portati a scivolarci dentro, credo tutti in qualche misura, presi dalla pretesa che la vita sia quella che noi decidiamo, secondo la durata e la qualità che stabiliamo. Ma ben prima di questo evento doloroso abbiamo sperimentato che questo modo di porci di fronte alla vita è triste, ci porta ad essere chiusi in noi stessi. Abbiamo accennato alla nostra esperienza anche ai lettori di questo giornale. Abbiamo provato la differenza fra la reazione istintiva che porta al rifiuto della fatica, delle cose che non vanno per il verso giusto, e la possibilità di aprire il nostro cuore e la nostra intelligenza di fronte a quello che accade.
Abbiamo imparato a "tornare come bambini", come è detto da Gesù, ad affidare i nostri passi anche quando diventano faticosi, a Chi sa, conosce anche il numero dei nostri capelli, come dice il Vangelo. È vero: la ferita è bruciante, ma noi, non siamo degli illusi: don Andrea, sacerdote amico che è rimasto con noi durante la notte in cui abbiamo vegliato accanto a Giacomo che stava per lasciarci, ci ha aiutati a ricordare qual è l'origine del nostro affetto, del nostro impegno a far crescere i figli, a volere il loro bene, la loro felicità piena.
Lo ha ripetuto anche al funerale, parlando delle madri cristiane che chiedono il battesimo per i loro bambini e quel giorno ricevono una promessa, la "lieta speranza della vita eterna per i loro figli". Ci siamo commossi ascoltando queste parole: abbiamo iniziato a guardare con gratitudine tutto, la nostra storia, la nostra vita, quella di Giacomo e degli altri nostri due figli Sofia e Lorenzo, tutte le persone, i nostri familiari e tantissimi amici incontrati sul nostro cammino e continuerà così anche ora che ci sentiamo profondamente feriti. La domanda che inquieta il nostro cuore non è "perché i bambini muoiono?", ma "Chi può compiere la nostra esistenza? Chi risponde alla nostra sete di verità e di felicità?"
Non è fondamentale il "quando" termina una vita, anche da adulti o da vecchi la morte spaventa se è senza senso, senza motivo, senza un abbraccio più grande di quello che noi mamme possiamo dare ai nostri bambini stringendoli fra la braccia.
In questi giorni il dolore ci sta facendo vivere con gli occhi spalancati, desiderosi di scoprire la profondità della vita, di fidarci del Signore Gesù crocifisso e risorto, di riconoscerlo, di seguirlo. Noi cristiani non seguiamo una croce, non guardiamo un legno, ma alziamo lo sguardo a Colui che era morto ed è vivo. E rende fecondo il dolore, mai inutile, mai sprecato. Vorremmo solo far sapere che aprirsi al Mistero che "dona la vita e il respiro a ogni cosa", è una possibilità che mette in moto l'intelligenza e il cuore umano, non scatena affatto la fantasia di chi deve inventarsi ad ogni costo qualcosa di illusorio, di consolatorio per tirare avanti.
Siamo liberi di affidarci a pensieri che volteggiano nella nostra mente come fantasmi, ma anche liberi di riconoscere il nostro desiderio di infinito, di gridare non per maledire , ma per implorare la vita, la vita vera, eterna. E di guardare il volto del Signore crocifisso, che ci ha liberati dalla morte.
Ilaria e Ermanno Leoni
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