Il ministro ha posto un problema che non va sottovalutato dato che, ormai, sono migliaia i figli di stranieri che è giusto considerare italiani a tutti gli effetti. Per vari motivi: perchè sono perfettamente integrati nella società civile, perchè frequentano le scuole italiane, perchè pensano e parlano come tutti i nostri ragazzi i quali, a differenza dei loro padri, ritengono iniqua, e indegna di uno Stato di diritto, questa discriminazione verso i loro amici "stranieri" che nessuno percepisce e ritiene tali.
In Italia da tempo viviamo un clima di regressione culturale che risulta a dir poco antistorico. La globalizzazione rappresenta un'onda inarrestabile che innesca, in modo ineluttabile, commistioni tra etnie e culture di immani proporzioni. Vedere in questo crogiuolo di genti e di popoli un pericolo incombente è sintomo di quella rozza subcultura che suole parlare di "territorio" e di "identità" come entità da custodire e preservare da ogni pericolosa "contaminatio".
L'intervento del ministro ha, dunque, tolto il velo ad un problema che tanti italiani fingono di non vedere ma che esiste e va risolto. La verità è che il paese ha subito negli ultimi anni una brutta metamorfosi che ha mutato l'identità collettiva di un popolo di cui il mondo intero ha sempre apprezzato la spiccata socievolezza. Occorre ammettere che, anche a causa delle crisi economica, siamo diventati cupi, sospettosi e intolleranti. Dovremmo tornare ad essere ciò che siamo sempre stati, cioè, un popolo generoso e inclusivo, in grado di gestire le insidie della globalizzazione dotandosi di una legislazione avanzata, aperta e pronta ad accogliere chiunque dimostri di amare il nostro paese.
Una volta tanto, imparino i genitori ad ascoltare l'insegnamento dei figli per i quali è perfino grottesco che si osi dubitare di un diritto, quello della cittadinanza dei loro amici, che essi ritengono sacrosanto. Ciò che sfugge all'universo degli adulti è che il mondo è diventato davvero piccolo. Questa diversa percezione dello spazio da parte dei giovani, rispetto ai loro padri, rappresenta un problema che lo Stato è chiamato a mediare attraverso l'istruzione.
Antonio Dostuni
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