Qualunque mamma di fronte a una notizia come quella di Busto si sente stringere il cuore in una morsa asfissiante. Ma lo stesso cuore di quella stessa mamma sa che non deve e non può giudicare. Innanzitutto perché se Silvia, come sembra, è malata merita innanzitutto rispetto. Il che non significa nascondere ciò che ha fatto, ma riflettere su quanto una malattia può rovinare una persona. E magari così facendo salvarne altre. Silvia, dopo aver tentato di uccidere i suoi figli, ha detto al magistrato di averlo fatto perché temeva «per il loro futuro», complice il suo sentirsi «inadeguata al ruolo di mamma». Bene, io che sono una giovane mamma questi timori li provo in continuazione. Il timore di non sapere se sto facendo le scelte giuste per lei, di non essere in grado di svolgere al meglio il mestiere più difficile del mondo per il quale non esiste scuola. E sfido qualunque madre a non aver mai avuto simili pensieri, mai una volta. Silvia è diversa dalla maggior parte di noi solo in una cosa: è una persona malata. Per questo non ce l'ha fatta, e i fantasmi della sua mente sono diventati braccia armate contro i suoi stessi figli. Ma chi di noi ha il diritto di giudicarsi migliore di lei a prescindere? Se Silvia ha deciso di avere un bimbo e poi un altro a un'età più che matura evidentemente sapeva quel che faceva. È una madre, prima che «una pazza, poverina». Perché Silvia resta la mamma dei suoi figli, che sicuramente in questi momenti di paura penseranno comunque a lei e alla sua mano che stringe la loro. Silvia resta una moglie per suo marito, che le è rimasto accanto e che ancora ieri si preoccupava per lei. E resta a sua volta una figlia per sua madre, che proprio per non lasciarla sola l'aveva accolta ieri mattina nell'appartamento che aveva preso proprio adiacente al suo. Chi pensate che incolpino queste persone di quanto successo? Silvia? No, in cuor loro staranno incolpando loro stesse. E in questo momento drammatico hanno bisogno di tutto tranne che dei giudizi di chicchessia. Quindi per una volta evitiamo di puntare il dito contro «la povera pazza», i medici del reparto di Psichiatria di Rho che l'hanno dimessa solo una settimana fa o i parenti della donna, incapaci di fermarla. Forse è proprio il qualunquismo a produrre così tanti casi di disagio. Forse è proprio l'esigenza moderna di etichettare tutto e tutti a convincere le persone della propria inadeguatezza. I nostri nonni non avevano niente, uscivano da due guerre e facevano vagonate di figli. Nessuno ha mai ammazzato nessuno, nessuno si è mai dato fuoco in piazza, nessuno si è mai lasciato morire per noia. Non ce n'era il tempo, forse. Di certo non c'era il tempo per giudicare, tanto ognuno era impegnato a cavarsela come poteva.Perciò riflettiamo quanto vogliamo, ma evitiamo di giudicare. Per quello ci saranno dei tribunali, tre gradi di giudizio e un Padreterno. E soprattutto una coscienza, il banco di prova più impietoso che attende Silvia. Peggiore persino dei nostri «poverina».
Federica Artina
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