Fin dai primi giorni dal suo insediamento, il governo Letta ha dovuto prendere atto che la coesistenza tra Pd e Pdl sarebbe stata alquanto complicata. La querelle su Imu e giustizia ha fatto subito emergere la necessità che l'esecutivo si limiti a dipanare le due grandi emergenze che attanagliano il Paese, quella istituzionale e quella economica, cercando di varare al più presto una nuova legge elettorale e un quadro di misure idonee a ridare fiato all'economia. Risulta, pertanto, del tutto velleitaria l'ipotesi di un'agenda più ampia che finirebbe fatalmente per originare l'ennesima riedizione di quei bolsi governicchi degli ultimi anni che si sono distinti per il saccheggio delle pubbliche finanze. Lo spettacolo indecoroso dei ministri che hanno manifestato a Brescia a sostegno del Cavaliere ha dimostrato che non ci sono le condizioni per una “pacificazione” tra Pd e Pdl. Conseguentemente, è inutile baloccarsi nell'illusione di poter realizzare quella Grande Riforma di cui tutti favoleggiano nella consapevolezza che sia solo un pretesto per tirare a campare. Occorre, tuttavia, ammettere che, al di là dell'apparente e, spesso, ostentata, conflittualità, esiste una significativa convergenza tra i due schieramenti che rappresenta la vera causa di quella vischiosità che rende utopistica qualunque ipotesi riformatrice. Va detto che, senza attendere i tempi biblici di quella palingenesi istituzionale che dovrebbe condurre al semipresidenzialismo o al cancellierato, l'attuale Parlamento potrebbe ben cominciare a ridurre il numero dei parlamentari dimezzandone le indennità. Basterebbe una legge costituzionale che, votata con i due terzi, eviterebbe finanche il referendum. Di contro, in modo del tutto pretestuoso, si adduce la necessità di far rientrare la riduzione dei parlamentari nel quadro di una riforma “organica” e tutto ciò al solo fine di sterilizzare il tema delle riforme. Questo dettaglio risulta significativo. Infatti, malgrado il Cavaliere si stia adoperando per riaccreditarsi agli occhi degli italiani come improbabile statista, la sua immagine continua ad essere inficiata da quel conflitto di interessi che non verrà mai risolto in quanto l'intero ceto politico, ne risulta contaminato. Si ponga mente alla disinvoltura con cui il Cavaliere sia solito confondere le proprie sorti con quelle della nazione. Come si potrebbe spiegare ad uno straniero che la durata del governo Letta dipende dall'esito dei processi di Berlusconi? Malgrado si tratti di una follia tutta italiana, il cittadino assiste rassegnato all'inerzia di un Parlamento che non fa nulla per ridimensionarsi nei costi rendendosi, in tal modo, complice di quel conflitto di interessi che viene speciosamente imputato al Cavaliere. Chi credeva che, con l'avvento dei grillini, qualcosa sarebbe cambiato, non aveva capito che, dopo Berlusconi, ci toccherà fare i conti con il berlusconismo, sorta di patologia di massa che da tempo ammorba non solo la politica ma l'intera società italiana. Questo è il motivo per cui il Cavaliere continua a tenere in ostaggio non solo i suoi parlamentari ma anche i suoi avversari e, perfino, un intero paese. Antonio Dostuni