Meglio idraulici che laureati. La provocazione di questi giorni proveniva da un personaggio (anche) star della finanza. Il sindaco di New York Michael Bloomberg, famoso pure per non avere peli sulla lingua, si era infatti rivolto ai giovani americani dichiarando: «Per lo studente medio diventare un idraulico potrebbe essere una soluzione migliore che frequentare Harvard». Università, tra l'altro, da cui è uscito lo stesso Bloomberg. E via le polemiche: tra le voci contro, quella di Umberto Veronesi, per il quale «dovremmo essere tutti laureati». Ci si può, e forse si deve, appellarsi al vecchio, giusto mezzo. Ma viene da chiedersi: chissà come si pronuncerebbe il primo cittadino newyorchese di fronte alla novità che dal primo agosto fa passare non in secondo, ma in ultimissimo posto il pensiero delle ferie per i nostri artigiani. Per quelli che ancora se le godono, tra l'altro. Una delle tante novità per cui ci si giustifica sottolineando: «Bisogna seguire le direttive europee». Saremo sicuramente i soliti vittimisti italiani, eppure guardando agli altri Paesi dell'Unione non ci rispecchiamo un granché. Un motivo su tutti: il peso della burocrazia, che non ci sembra rendere l'atmosfera delle imprese in altre nazioni così irrespirabile. Quindi partiamo già con un fardello. Adesso ecco la madre di tutte le regole che va a colpire gli impiantisti. A cominciare da quelli che certificano le energie rinnovabili: il sale dell'ambiente e anche di un'edilizia bloccata su quasi tutti i fronti. Questo si sta andando ad affermare davanti alla categoria che installa caldaie, sistemi solari fotovoltaici e pompe di calore: l'esperienza non vi basta più. Detto in un altro modo: quello che avete imparato sul campo in tutti questi anni, non è importante quanto un pezzo di carta. Eppure sono proprio i settori di riferimento dell'economia comasca ad aver sottolineato una storia differente. Ad esempio, il Distretto del legno della Brianza ha rimarcato a più riprese come si sia rischiato - e ancora si corra il pericolo, anche se qualcosa si muove - di perdere competenze, perché i ragazzi non vanno più in fabbrica a “rubare il mestiere”. Così si era espresso il vicepresidente di Federlegno Giovanni Anzani: «Abbiamo rincorso il mito dei dottori e purtroppo li abbiamo laureati in disoccupazione. credo che si debba tornare alle arti e ai mestieri, alle mani intelligenti». Non è un discorso che portano avanti solo le generazioni già immerse da tempo nel mondo del lavoro. Prendiamo le voci dei futuri titolari di attività, i ragazzi che hanno partecipato all'iniziativa di Confindustria “Figli di impresa”. Molti di loro concordavano su un fatto: siamo qui, perché l'università non basta, perché in aula non impariamo tutto ciò che ci serve per guidare un'azienda. L'esperienza, appunto, il suo valore ritenuto prezioso dai giovani e dai meno giovani. Senza con questo buttare nel cestino il titolo di studio, certo, se concepito come lo vede Veronesi, ovvero conoscenza, ricerca, stimolo a crescere. Se invece è visto come il pezzo di carta, c'è da tremare. Perché se questa norma non verrà modificata, dalla prossima estate ci sarà un'ulteriore mazzata su migliaia di artigiani. E si rischierà di perdere, anche in questo campo, un patrimonio di competenze.</p><p class="p@1">Con un ultimo quesito: ci sentiremo così sicuri se arriveranno i dottori, al posto del nostro vecchio artigiano, a certificare i nostri impianti? La risposta di Bloomberg, ci pare di sentirla. Marilena Lualdi