Non è raro leggere interviste in cui il soggetto-oggetto della medesima, in particolare se politico o amministratore, cogliendo con troppo entusiasmo l’occasione offertagli, si impegna con petulanza a segnalare quelli che, secondo lui o secondo lei, sono i torti, le lacune e le inesattezze perpetrate nei suoi confronti dalla stampa. Fa piacere notare che il sindaco di Como Mario Lucini non lo ha fatto, non nell’intervista pubblicata ieri da questo giornale in occasione del primo anniversario della sua elezione. Merito, certo, della giornalista Gisella Roncoroni che, richiamandolo a ogni passo sul concreto, gli ha offerto pochissimi appigli dai quali lanciare vaghi proponimenti e risentite lamentele ma merito, non poco, anche suo: Lucini si è accreditato ciò che poteva accreditarsi, ha riconosciuto i problemi che doveva riconoscere e, quasi un miracolo visti gli standard attuali della politica, ha evitato di rovesciare troppe colpe su chi lo ha preceduto. Che cosa ha celebrato, di se stesso, il sindaco? Soprattutto il fatto che il suo slogan elettorale - “Como cambia passo” - è diventato realtà, a condizione che lo si intenda applicato alla svolta, innegabile, che hanno avuto i rapporti tra amministratori e amministrati: «Ci sono innumerevoli cittadini che si sono resi disponibili per rendere migliore la città: genitori che hanno ritinteggiato aule, abbellimenti delle aiuole. Questo clima di partecipazione diffusa credo che sia non solo, ma anche, conseguenza di un interlocutore attento». Dove, invece, ha dovuto ammettere, se non una sconfitta, almeno qualche significativa difficoltà? «Volevo dare subito un segno forte di miglioramento della cura della città, ma l’obiettivo non è stato raggiunto. Su impianti sportivi e verde c’è ancora molto da fare. Sulla cura delle piccole cose dobbiamo migliorare moltissimo». Parlare di «piccole cose» in una città reduce da uno tsunami amministrativo che le ha consegnato disastri epocali le cui definizioni richiamano i romanzi di Calvino - la Ticosa Incompiuta, il Lungolago Inesistente, la Piazza Dimezzata - sembra troppo minimalista ma, almeno, dà la misura di un sindaco che si riconosce per ciò che è: un amministratore cui spetta la cura della città, nei dettagli come nei grandi progetti, e non è vittima dei vaneggiamenti che colgono altri primi cittadini i quali si vedono di volta in volta nei panni di sceriffi tutti di un pezzo, imperatori in sedicesimo e risibili signori rinascimentali. Non vorremmo però che parlando con legittimo coinvolgimento di impianti sportivi, giardini e cestini delle immondizie, Lucini perdesse di vista le grandi aspettative che hanno accompagnato l’apertura della sua stagione a Palazzo Cernezzi. Se la “luna di miele” con il nuovo sindaco è finita, le speranze dei comaschi di vedere la loro città riportata a un certo livello di decenza se non di splendore non si sono affatto estinte. Forse è troppo chiedere a un sindaco di affrontare e risolvere a testa bassa problemi di portata colossale, ma il punto è proprio questo: non deve farlo da solo. Già molti cittadini si sono offerti di dargli una mano, altri interlocutori - negli enti pubblici come nel privato - spetta a lui stimolarli. Una città che spera di chiudere una volta per tutte una parentesi tanto deleteria della sua storia ha bisogno di un trascinatore. Questo aspetto è forse mancato nel primo anno di Lucini. Speriamo si manifesti nel secondo anche perché, al di là delle varie interpretazioni possibili, siamo certi che era questo il significato autentico del suo “cambiare passo”.
Mario Schiani